12/03/2011
Solo nella campagna emiliana di cent’anni fa si poteva chiamare Dionilla una neonata, in omaggio alla nonna. E poco male se all’anagrafe si sbagliavano scrivendo Adionilla, senza che il padre contadino e la madre sarta se ne accorgessero. Tanto era destinata a diventare Nilla, da bambina e nella vita, lunghissimi anni che hanno visto trasformarsi in star quella che è stata, soprattutto, una forza della natura. Sempre in prima linea fra concorsi giovanili e gare nazionali, matrimoni di un giorno e relazioni tempestose, tournées in tutto il mondo, dominio in radio e alla televisione, graditissima presenza in video fino a pochi mesi fa. Bella, formosa, grande presenza scenica, una voce tanto calda da rischiare la carriera nella vecchia Eiar per eccesso di sensualità.
Uno charme alla Rubens, che le consentiva di gareggiare per il precursore di Miss Italia, “Cinquemila lire per un sorriso”. E appunto la capacità di ridere, l’ironia bolognese che l’ha accompagnata per tutta la vita, la rara dote di non prendersi mai troppo sul serio. Fra le ultime generazioni, Nilla Pizzi era vista probabilmente come un relitto del passato, una che al pari di celebrità canore come Claudio Villa non sapeva stare al passo con i tempi. Che errore. Se a metà del secolo, 1951, arrivava prima e seconda a Sanremo con due motivi diversi, e l’anno dopo conquistava addirittura i tre primi posti, evento mai ripetuto, Nilla onorava la tradizione ma non aveva nessun timore delle novità.
Arrivavano il samba brasiliano, il cha cha cha di Xavier Cugat, il calipso di Belafonte, tante concorrenti godevano il loro momento di effimero successo e lei, sempre all’altezza, sempre in perfetta tonalità, o si cimentava con l’esotico spartito o volgeva tutto in parodia. Del resto aveva imparato il ritmo da quell’altra celebrità che è stato Cinico Angelini, direttore all’americana in tempi fascisti e duro rivale di un cultore di più melense melodie, il maestro Petralia. Nomi che oggi non dicono più nulla ma che, all’epoca, rivaleggiavano come popolarità con Toscanini.
E così se ne è andata, cara e impavida Nilla, mai travolta dall’età. Ci ha lasciato il Grazie dei fior e l’Edera, il duo con Rabagliati, Tu musica divina, mille altri refrain che altri hanno tentato di imitare, a livelli più bassi. Nelle pause ha aperto locali in continenti remoti, ha aperto e chiuso relazioni che riempivano le pagine del gossip, ha gioito e sofferto. Quando tornava a casa c’era sempre una rete tv a sua disposizione, sapendo che eravamo in tanti a volerla vedere e risentire. Oggi, mese di marzo in cui malamente si celebra l’unità d’Italia, poteva essere lei a fare da testimonial. Solo una cantante, certo. Ma, in quasi un secolo di vita, donna capace di trionfi e declini senza mai arrendersi. Virtù nazionali, una volta.
Giorgio Vecchiato