26/02/2013
Il presidente uscente della Camera Gianfranco Fini. Anche per lui niente rielezione.
Il voto-tsunami di ieri potrebbe aver creato malumori anche in Messico. I cittadini di quel Paese, infatti, si stanno interrogando su una particolarità italiana che rischia di mettere in ombra una delle maggiori celebrità centroamericane, nientemeno che Montezuma. Della maledizione di costui, infatti, si conosce ormai tutto, cure preventive comprese. Lui, Montezuma, non fa una piega, convinto, più di Montecitorio, di essere sempre il migliore nel suo campo.
Ma da qualche tempo, proprio in Italia, sembra avere la meglio una catastrofe ben peggiore della sua, la cosiddetta “maledizione della terza carica”. Ed è di quella che andremo a occuparci per avvertire in tempo il malcapitato che occuperà... sì, avete capite bene, la terza carica dello Stato, ossia la presidenza della Camera dei deputati. È dalla Seconda Repubblica, infatti, che il presidente della Camera prima o poi fa una brutta fine (politicamente parlando, s’intende).
Tutto inizia il 16 aprile 1994, quando alla poltrona appena lasciata da Giorgio Napolitano si insedia una donna padana, Irene Pivetti, 31 anni compiuti solo dodici giorni prima. Gli esperti narrano che non si trattò di una presidenza particolarmente memorabile (16-04-94/08-05-96), e che la sua carriera politica andò riducendosi sempre più dopo quell’esperienza, per terminare mestamente nel 2002. Meglio la Tv e anche i giornali, secondo lei, anche se a nessuno è mai venuto in mente di legare i suoi insuccessi televisivi al precedente ruolo di presidente della Camera.
A succederle è Luciano Violante (10-05-96/29-05-01). Cinque anni spesso turbolenti ma che gli consentono di uscire di scena ottenendo un successivo buon andamento elettorale. Fino a quando, quasi all'improvviso, nel 2008, esausto per la caduta del secondo governo Prodi, Violante appende al chiodo ogni velleità e dice “basta” alla politica attiva. Se il primo era un caso (Pivetti), il secondo poteva sembrare soltanto una coincidenza.
Ma quando si scorre l’elenco dei successori, Pier Ferdinando Casini (31-05-01/27-04-06), Fausto Bertinotti (29-04-06/29-04-08), e Gianfranco Fini (dal 30-04-08) c’è da rimanere sconcertati. Bertinotti è desaparecido, Fini trombato e anche Casini non si sente molto bene. Chiaro che Montezuma cominci a chiedersi – anche lui, sì – se tutto ciò non sia un complotto proveniente d’oltreoceano verso i suoi acclarati meriti.
Ai tempi della prima Repubblica, su otto presidenti della Camera, ben cinque sarebbero stati capaci di trasferirsi al Quirinale: Gronchi, Leone, Pertini, Scalfaro e Napolitano. Quanto ai restanti tre, Bucciarelli Ducci, Ingrao e Iotti, viene il sospetto che per sedere alla poltrona di presidente della Camera ci vorrebbe, ancora oggi, almeno la metà del loro carisma e della loro preparazione.
Ora, a chi abbia ambizioni terziste (nel senso della carica), consiglieremmo un rapido ma certamente utile viaggetto in Messico. Nel pacchetto-vacanza, oltre a piramidi azteche, esotismi a Tulum e visita guidata nella capitale, faccia aggiungere una visita privata a Montezuma. È a lui che potrà chiedere lumi. E, soprattutto, chiarire che no, in Italia non si vuole diventare più celebri di lui.
È solo che le cose, in politica, da noi vanno un po’ così da troppo tempo, caro Montezuma: certezze poche, fallimenti tanti, personaggi nobili come te, quasi nessuno.
Manuel Gandin