08/03/2011
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio.
Qualche volta il nostro cristianesimo
sembra malato di vecchiaia. Senza speranza.
David Maria Turoldo, poeta e
grande cristiano, così pregava: «Signore, salvami
dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che
tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello
spirito. Ridonaci la capacità di piangere e di
gioire». La capacità di piangere e di gioire libera
dalla senilità dello spirito che è fissazione con i
propri problemi, vittimismo, rassegnazione. Fa
piangere – così almeno io ho sentito – l’assassinio
del ministro pakistano delle minoranze,
Shahbaz Bhatti.
Un cattolico che lottava per
i cristiani del suo Paese, per liberarli dalla
marginalità e dalla minaccia della legge sulla
blasfemia (per cui si può essere facilmente
accusati di crimine contro l’islam).
Ho conosciuto Bhatti e avrei dovuto incontrarlo
nei giorni scorsi a Islamabad. Sono legato
ai cristiani pakistani per la presenza di Comunità
di Sant’Egidio in quel Paese. Con Bhatti
si condivideva il lavoro per i poveri, musulmani
o cristiani.
Alla notizia della sua uccisione
mi sono posto la domanda: è impossibile
fare qualcosa in questo Paese, non solo
islamico, ma feudale e oppressivo?
Spesso ci facciamo questa domanda con
un misto di rabbia e rassegnazione. Rabbia
per il mondo islamico. Rassegnazione per
qualcosa che non si può cambiare. Eppure
Bhatti era lontano da questi sentimenti, nonostante
le minacce e il senso di insicurezza
che attraversava le sue giornate. Parlava di
una possibile morte. Ma concludeva: «
Voglio
vivere per Cristo e per lui voglio morire. Non
provo alcuna paura in questo Paese». Chi accostava
il ministro lo trovava sereno, abitato
da grande speranza. Aveva tutti i motivi per
sentirsi vittima di una situazione impossibile.
Di origine povera, nel crogiuolo della sofferenza
e della discriminazione, aveva maturato
una forza di speranza.
È una grande lezione per noi cristiani “comodi”,
talvolta dominati da uno spirito di senilità:
quella di un uomo di fede, che rischia
la vita, ma non rinunzia alla speranza di cambiare
il suo Paese. Con l’amore verso i poveri
di ogni religione – aveva detto – «abbiamo costruito
ponti di solidarietà: ciò produrrà un
cambiamento positivo: le genti non si odieranno,
non uccideranno in nome della religione,
ma si ameranno le une con le altre...». Un’illusione?
No, una speranza per cui vale la pena
vivere e morire. Sulla fede cristiana di Bhatti
è germinato un sogno di pace. Tante volte,
invece, un mondo malato di senilità spreca
molte risorse e tanta speranza.
A proposito di Bhatti, mi sono tornate in
mente le parole di Karol Wojtyla su di un martire
del Novecento: «Morì un uomo, ma l’umanità
si salvò!». È morto Bhatti, che ha mostrato
una via al suo Paese per salvarsi dal totalitarismo
disumanizzante. Il suo martirio parla
anche a noi cristiani “comodi”, mostrando la
forza e la bellezza di vivere per gli altri con la
speranza che non marcisce.
Andrea Riccardi