Marchionne, parabola di un manager

L'uomo che voleva umanizzare il lavoro e il dirigente che tratta gli operai come numeri. Marchionne com'era e com'è.

02/11/2012
Sergio Marchionne con il premier Mario Monti (foto Eidon).
Sergio Marchionne con il premier Mario Monti (foto Eidon).

Diciannove dentro, diciannove fuori. Una logica che sostituisce i numeri alle persone, a questo è arrivata la guerra di Pomigliano tra la Fiat e la Cgil. Diciannove licenziati tra gli attuali dipendenti (che sono 2.146) per far posto a diciannove cassintegrati iscritti alla FIOM che il tribunale di Roma ha riconosciuto essere stati discriminati per la loro adesione a un sindacato sgradito all'azienda.

La Fiat si giustifica: "Il personale di Pomigliano è già in eccesso, il mercato è in crisi, tant'è vero che abbiamo già fatto ricorso, anche nella fabbrica della Panda, alla cassa integrazione". Per questo, se ne entrano diciannove ne verranno licenziati diciannove. Perché invece non dividere la cassa integrazione tra tutti? Perché il problema non é il mercato, è lo scontro ideologico, il braccio di ferro, le persone usate come strumento, in questo caso veri e propri ostaggi in una guerra che passa sopra le loro teste. Per questo a Pomigliano non c'è l'uomo, c'è il numero.

Non avremmo mai pensato che la parabola di un manager come Sergio Marchionne potesse arrivare a questo punto. L'uomo arrivato a Torino per salvare un'azienda sull'orlo del tracollo, l'uomo che si era ripromesso di umanizzare il lavoro, che aveva messo in secondo piano le gerarchie per premiare le persone, che aveva fatto dell'informalità il suo tratto distintivo anche nel vestire, proprio lui come può accettare quel che accade in queste ore a Napoli?

La copertina del libro di Paolo Griseri.
La copertina del libro di Paolo Griseri.

A Detroit, dove Marchionne ha salvato la Chrysler dal tracollo (con l'aiuto dell'amministrazione Obama), ricordano ancora oggi lo spot della rinascita, la storia di un popolo di lavoratori che era "andato all'inferno" e aveva "saputo ritornare". Perché i poveri della periferia di Detroit, quelli che vivono nei quartieri poveri oltre la fabbrica di Jefferson North, dovrebbero aver visto un inferno peggiore di quello delle periferie napoletane? Perché a Napoli è la Fiat a mandare le persone nell'inferno della disoccupazione?

Il libro sulla Fiat di Marchionne è anche la storia di questa parabola, di queste contraddizioni e anche della trasformazione dell'immagine di un manager. Non è un problema di look ma di sostanza. Nel giugno del 2006 l'amministratore delegato del Lingotto tenne un famoso discorso all'Unione industriale di Torino per spiegare che il modello europeo, quello del welfare e del lavoro come valore, era addirittura superiore a quello americano della lotta senza rete per la sopravvivenza. Si prese gli elogi di quegli stessi che oggi lo attaccano.

Nel frattempo c'è stata la crisi, il fallimento del piano Fabbrica Italia, lo scontro con la CGIL, la pretesa della Fiom di non rispettare accordi che hanno ottenuto il consenso (sia pure forzato) della maggioranza dei dipendenti. Ma c'è stata anche l'illusione di creare fabbriche senza dissenso, l'idea che si dà il lavoro solo a chi è d'accordo con la dirigenza, l'apertura di una caccia alle streghe che non solo l'Europa ma la stessa America non ricorda dai tempi del maccartismo. In tutto questo le persone diventano pedine, numeri, merce di scambio appunto. Diciannove contro diciannove.

Paolo Griseri
(inviato del quotidiano la Repubblica
e autore del libro La Fiat di Marchionne pubblicato da Einaudi)

Paolo Griseri
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