21/04/2010
La contestazione di Supermario.
Se c’è un inferno, metaforico s’intende, per i talenti non messi a frutto, Mario Balotelli ci sta mettendo l’anima per bruciacchiarsi le dita.
Ha avuto in sorte almeno tre grandi fortune: un ospedale che l’ha curato quando si è ammalato da bambino e l’ha tenuto ricoverato a lungo quando era piccolissimo e solo. Una famiglia affidataria che si è presa cura di lui da quando aveva due anni e l’ha adottato al compimento della maggiore età. Un talento strepitoso per il calcio.
Niente di tutto questo era scontato. Se le Sliding doors della sua vita si fossero chiuse divesamente avrebbe potuto: non guarire bene e non incontrare mai un pallone; incrociare il destino con persone diverse, nella peggiore delle ipotesi malvagie, pronte a sfruttare la sua debolezza e la sua solitudine bambina; scoprirsi piedi come ferri da stiro e ripiegare su un lavoro grigio e malpagato.
Per questo Mario, cui danno del bambino ma a 19 anni non è tanto un complimento, farebbe meglio a mordersi la lingua e le mani, prima di buttare per terra la maglia di una squadra che gli sta dando l’occasione di avvicinare, a vent’anni nemmeno, il trofeo che i migliori calciatori della storia hanno sognato per una carriera.
Farebbe meglio a contare fino a cento, prima di rovinare la festa di un 3-1 inflitto alla squadra più forte del mondo, perché c’è il rischio che si giochi nell’ordine: la possibilità di partecipare alla finale se l’Inter mercoledì prossimo ci arriva; l’amicizia dei suoi compagni; l’unico pubblico finora amico, ma da ieri sera non tanto; la Nazionale; un futuro nel calcio che conta.
Stavolta tocca a lui decidere su quale storia aprire le porte scorrevoli. Se concentrarsi sul personaggio di talentuoso attaccabrighe rischiando di perdere la palla o se dare l’anima dietro al pallone con la gioia che il dono dei suoi piedi merita. Sappia che c’è il rischio che sia una scelta definitiva. Non è scritto da nessuna parte che la buona sorte debba suonare due volte.
Elisa Chiari