23/09/2012
Il segretario federale della Lega Nord Roberto Maroni a Domaso (Como).
Oltre 80 chilometri in
sella a uno scooter fino a Domaso, sul Lago di Como, per rendere omaggio a
Gianfranco Miglio e per tracciare il percorso prossimo venturo della Lega Nord:
referendum per istituire la macroregione del Nord e corsa in solitaria alle prossime
elezioni. Quello dello scorso 15 settembre è l’evento più eclatante del segretario federale del Carroccio Bobo
Maroni degli ultimi mesi. L’estate, tradizionale periodo di clamore mediatico
della Lega grazie alle esternazioni del fondatore Umberto Bossi (si pensi ai
leggendari soggiorni in canottiera nelle dimore del Cavaliere), per i leghisti
se n’è andata così, con un viaggio in motoretta nel paese dove aveva dimora
l’ex ideologo del movimento, peraltro ampiamente liquidato da Bossi quando era
ancora in vita con una battuta irriferibile.
Chi scrive ebbe la
ventura di fare l’ultima intervista all’ex ideologo della Lega (almeno così
veniva definito, anche se il vero ideologo, come per tutto il resto, è sempre stato Umberto Bossi). Il colloquio avvenne proprio nella sua casa di Domaso,
una sorta di maniero di foggia tirolese, vagamente gotico, dove tra l’altro
produceva un ottimo vino (il Domasino). E’ molto probabile che Miglio, se fosse
stato ancora in vita, non avrebbe nemmeno risposto al citofono al barbaro
sognante Maroni. Alla domanda sulla Lega e Bossi infatti lo scienziato della
politica, il presidente emerito della facoltà di scienze della politica
dell’Università Cattolica, il maestro di Lorenzo Ornaghi, aggrottò ancor di più i sopraccigli e
cominciò a sparare definizioni non proprio gentili all’indirizzo del “senatur”
e della sua congrega politica che gli aveva preferito al ministero delle
Riforme un ex steward dell’Alitalia.
La
Lega Nord 2.0 di Maroni, così ribattezzata per la sua attenzione ai social
network e al web, in attesa degli Stati Generali di Torino (“Prima il Nord”, il
28 e 29 settembre al Lingotto), per il momento sembra galleggiare nel nulla.
Sui giornali è praticamente scomparsa.
Anche i colonnelli leghisti sono presi, se non da
mutismo, da una generale afasia. I sondaggi la danno quasi per morta,
intorno a uno striminzito 4,5 per cento. La causa principale è certamente lo
scandalo che ha travolto la Lega del “cerchio magico” del fondatore Bossi, ma
non sembra che Maroni e il suo fido Tosi, sindaco di Verona, siano riusciti a
risollevare per ora le sorti del movimento e frenare l'emorragia di voti. Il nuovo corso della Lega vuol
partire dai piccoli imprenditori per dargli voce nel dibattito politico
economico e per ricercare una ricetta per il rilancio del Paese. Con quali
idee? Con quali visioni? Con quali azioni di tattica politica in Parlamento? Maroni, a
Torino, dopo il primo giorno di tavoli di lavoro a porte chiuse, declinerà un
manifesto in dieci punti. Ma il principale problema è che, a differenza del suo
fondatore, il carisma politico del nuovo capo, uomo più di governo che di lotta,
non è irresistibile. Si è infatti passati dalla marcia del popolo verde sul fiume Po alla gita in motoretta. In confronto la "batelada" sul Lago di Como organizzata ogni primo maggio da Rosy Mauro, nemica storica dei barbari sognanti, fa impallidire per grandiosità.
Della Lega oggi si parla poco e si assiste alla sua scomparsa. Ma ci sono stati mesi, anni, in cui il Paese sembrava
essere in mano al Carroccio. Anni in cui Bossi dettava l’agenda a una classe
politica acquiescente, a un Governo Berlusconi impastoiato in vicende di
intercettazioni e Ruby Gate. Gli anni del pacchetto sicurezza e del reato di
clandestinità. Gli anni dei respingimenti dei barconi carichi di povera gente
in cerca di un approdo in Europa. Gli anni del tira e molla sull’apertura dei
Centri di accoglienza. Gli anni della legge contro i matrimoni misti.
Sfruttando la leadership appannata di Berlusconi, i leghisti sembravano insaziabili.
Le proposte bislacche
si susseguivano al ritmo di una al giorno, dai presidi e
professori autoctoni al dialetto a scuola, alle gabbie salariali, ai giudici
eletti dal popolo fino ai sottotitoli in dialetto delle fiction e al cambio
dell’inno nazionale. Ai vigili urbani che vanno casa per casa in certi paesi
del bresciano a chiedere i documenti agli extracomunitari. Al pullman di Milano
con le sbarre ai finestrini che dava la caccia agli extracomunitari
clandestini. Il gruppo Lega Nord del Friuli aveva chiesto alla Regione di
mettere in campo del personale amministrativo negli ospedali per segnalare alle
autorità competenti gli immigrati clandestini che vanno farsi curare,
suscitando lo sdegno dell’ordine dei medici.
Di tutto questo nel Paese non si parla più, (per fortuna). Qualche blando tentativo di rispolverare i vecchi specchietti per
le allodole: riproporre le ronde, che peraltro non ci sono mai state a parte
una o due ridicoli tentativi, mettere in campo i soldati di pattuglia. Cose
così. Ma sono ormai come quei mortaretti difettosi che la mattina dopo la notte della festa di paese ogni tanto scoppiettano nell'indifferenza generale. La gente ormai ha altri problemi: la crisi, l’occupazione, i conti a
fine mese. E ha capito da tempo che il federalismo portava solo altre tasse e
rischiava di moltiplicare le greppie a disposizione dei politici. E così molti leghisti sono orientati al grillismo e all'astensionismo.
Nel
frattempo “l’alter ego” di Maroni, ovvero Umberto Bossi, continua a viaggiare
in lungo e in largo per il Nord, comportandosi un po’ pateticamente come se
fosse ancora lui il segretario. Nonostante l’ordine di cancellarlo (la Padania
gli ha dedicato una breve per il suo compleanno, contrariamente agli anni
scorsi in cui gli dedicava pagine e pagine) lui si dibatte come un leone
ferito. Il Caroccio, al momento, è quanto meno una diarchia. Quest’estate ha concesso un’intervista in cui asseriva di esser ancora
il “lider maximo”, aggiungendo di non avere alcuna intenzione di fare
tappezzeria. Di fedelissimi intorno a Bossi ce ne sono ancora tanti, ancora aggueriti e in attesa di ritornare alla carica. Il popolo
verde è sempre stato dalla parte del "senatur". Saprà Maroni conquistare almeno quel che rimane di quest’ultimo?
Francesco Anfossi