26/10/2010
Ore 18,30 di un lunedì di pioggia e vento. Dalla stazione di Padova il treno – un “Freccia bianca” di quelli solitamente veloci (due sole ore di percorrenza per Milano centrale) – lentamente si mette in moto. Ha già un quarto d’ora di ritardo (“Strano”, pensa l’ignaro passeggero, “è partito da Venezia, chissà come mai…”). Poco male. Fatti due conti – arrivo previsto, ritardo incluso, ore 20,43 – “la cena a casa non me la toglie nessuno”, pensa ancora l’illuso.
Treno affollato, come sempre, cellulari che trillano a più non posso e computer in azione, l’allegra brigata dei passeggeri fila veloce verso la meta. Veloce… fino a un certo punto. Esattamente fino a Verona Porta Nuova. È qui, nella città di Giulietta e Romeo, che traditor fu il binario. Treno fermo. La sosta, che doveva essere di due soli minuti, si protrae. Il consueto brusio da Eurostar s’azzera in un istante al plin-plong dell’annuncio: «Il treno subira ritardo per problemi alla linea». Otto secche parole percorrono l’intero convoglio alle ore 19,30.
Dopo qualche momento di perplessità, l’ottimismo torna a regnare sovrano: “Va beh, sarà questione di pochi minuti… non sarà poi la fine del mondo”, pensa ancora fra sé e sé il passeggero di cui sopra. Cena fredda, serata andata a farsi friggere, ma non importa. Domani è un altro giorno.
L’ignaro non sa quanto lunga sarà questa serata che porta a domani.
A partire da quelle otto fatidiche parole nulla più accadrà. Per ore. Venti e trenta, ventuno, ventidue… Il tempo corre, il treno no. Si attende invano un nuovo plin-plong chiarificatore. Inchiodato al suo settimo binario di Verona Porta Nuova, il “Freccia bianca” numero 9742 rimane immobile. Non solo. Per uno strano effetto camaleontico, anche il personale FS si immobilizza e scompare magicamente alla vista. I conduttori – implacabili e onnipresenti quand’è il momento del controllo-biglietti – sono evaporati dal treno, o trasformati per effetto mimetico in sedili e vani-portaoggetti. Dal momento dell’annuncio non c’è più nessuno. Nessuno sulle carrozze, nessuno sulla pensilina. Il macchinista? Disperso, anche lui forse irresistibilmente attratto nello stesso buco nero.
Dopo due ore di sosta senza ulteriori annunci o spiegazioni comincia a serpeggiare un certo malumore, come direbbe Fantozzi. Allora? Via, è il momento in cui le nuove tecnologie possono venirti in aiuto. Scatta la solidarietà della sventura fra i passeggeri: “Mentre io guardo il sito delle FS, lei chiami il servizio clienti”. C’è chi cerca fra le notizie d’agenzia, chi – all’italiana – telefona all’amico ferroviere per avere soffiate dall’interno, chi manda sms a Brescia per sapere se arriva qualche treno da Verona.
Tutto inutile. È un muro impenetrabile quello che circonda i naufraghi del Freccia bianca 9742. Una vera cappa di omertà. Il sito parla di «20 minuti di ritardo», l’ignobile. Notizie zero. Pare non trapeli nulla neanche dalle talpe di Trenitalia.
Ore 22,43. Finalmente un altro plin-plong, che accende la speranza. «È previsto che il treno riparta alle ore 23,00».
Speranza che dura soli 17 minuti. Alle 23,00 il treno sembra più che mai addormentato sulla sua strada ferrata.
Altro annuncio, alle 23,10: si cambia treno. Occorre spostarsi su quello del binario accanto. Che però, di passeggeri a bordo ne ha già molti. Piglia pacchi, borse e trolly e catapultati di là. Chi resta in piedi? Le persone più anziane e con più valige, naturalmente, che si trascinano sconsolati di carrozza in carrozza chiedendo “Libero? Libero?”.
Il nuovo-Frecciabianca-binario-6 parte davvero (e si rimaterializza il personale FS). Già, parte ma non corre. Trenta all’ora, qualche chilometro e poi fermo. Passo d’uomo, qualche chilometro e poi fermo. Così fino a Brescia: ore 1,10 del mattino.
Da qui in poi finalmente fa il suo dovere, il treno. Sfreccia, la Freccia. Cinquanta minuti, precisi precisi, e si arriva a Milano centrale. I passeggeri, stipati e affamati, non hanno più la forza di gioire, ma in cuor loro pregustano almeno il letto.
Poveri illusi. Alle 2 di notte la metro è chiusa, i tram non passano più, e i taxi mica stanno ad aspettare i treni in ritardo. Una turista giapponese si avvicina alla fila in attesa: «Taxi? Qui?» Poi allunga lo sguardo oltre l’angolo: 100 persone in coda, zero taxi. Pronuncia qualche parola, in giapponese. Meglio non chiedere la traduzione. Meglio immaginare che abbia detto: «Che Paese accogliente e moderno, l’Italia!»
Luciano Scalettari