21/07/2011
La vita, dono di Dio, è affidata alla responsabile cura del padre e della madre genitori, perché ne siano sapienti custodi. Cosa vuol dire, per quella giovane coppia, farsi sapiente custode delle due figlie siamesi? Sono nate premature (alla trentesima settimana), hanno in comune cuore, fegato e intestino.
Non si può non ammirare i protagonisti, a vario titolo, coinvolti nel voler dare futuro alle due bambine: anzitutto la giovane coppia che, avvertita della nascita altamente problematica, ha deciso di non interromperla e di lasciare libero corso alla vita che si annunciava; l’équipe medica, di alta competenza professionale che immediatamente si è allertata nell’offrire assistenza medica appropriata dopo il parto e anche prima; i due Comitati di bioetica, rispettivamente dell’Università di Bologna e dell’Ospedale, sono pervenuti a un pronunciamento unanime tra laici e cattolici che prevede l’intervento chirurgico solo in caso di grave e immediato pericolo di vita.
Al momento il pericolo di vita non c’è. Ma se la situazione si evolve fino a mettere a rischio la sopravvivenza delle due bambine siamesi? Qual è la decisione giusta da prendere? Ogni opzione, infatti, appare rischiosa, nessuna scelta si apre solo sulla vita, vita e morte appaiono strettamente unite come le due bambine siamesi.
Fino a un tempo abbastanza recente, non c’era altro atteggiamento che la rassegnazione. Nulla, infatti, si poteva fare per contrastare il corso degli eventi naturali. Il credente accettava e viveva con fortezza d’animo quanto accadeva nella ferma fiducia in Dio che sa trarre il bene anche dal male. D’altra parte, la libertà-responsabilità umana era limitata di fronte alla natura e si piegava al suo verdetto, fausto o infausto che fosse.
Oggi, invece, il progresso medico ha acquisito nuove conoscenze e, di conseguenza, nuove possibilità e opportunità. Il lasciare fare alla natura, se prima era un atteggiamento responsabile, oggi assume il significato di una resa passiva. La fiducia nella Provvidenza non esime anzi obbliga a ricorrere ai mezzi e strumenti oggi disponibili. La scienza medica, tuttavia, non è onnipotente. Un caso di gemelli siamesi è già complicato per sé stesso, ma questo lo è ancora più.
Al momento non c’è pericolo di vita. Le bambine hanno tre settimane e crescono insieme. Qualora e quando si verifica il pericolo di vita, si pone il grande interrogativo: è lecito intervenire per separarle, nella previsione che l’intervento ha scarsa probabilità di riuscita per tutte e due, oppure riuscirà per una, ma non per l’altra?
Per rispondere, occorre esaminare, dal punto di vista etico, una duplice possibilità. La prima sostiene il non intervento, perché - si afferma - una cosa è «lasciare morire», quando è venuto il suo momento, tutt’altra cosa è «procurare la morte».
Come obiezione, si riconosce che il principio è giusto, ma l’applicazione non è appropriata e convincente. Infatti, la separazione delle gemelle non è finalizzata a procurare la morte anche a una sola delle due gemelle. Si tratta piuttosto di un’azione medica che, accanto a un esito positivo, può implicare un esito negativo previsto, ma non voluto.
La seconda risposta non ha dubbi e sostiene che non è rispetto per la vita quando non si fa, in situazione di emergenza, tutto quello che è possibile fare e, in questo caso, salvarne almeno una dal momento che non si può salvare tutte e due.
Ma quello che non è possibile fare è decidere in partenza che una bambina non uscirà più da quella sala operatoria. «Farei l’intervento», così si è espresso un chirurgo, «solo se esiste la possibilità teorica di salvarle entrambe oppure di non sapere quale delle due non può sopravvivere. Ma decidere di mettere fine a una vita a tavolino, questo no. Non lo farò mai».
Il ragionamento di questo chirurgo è moralmente corretto: la separazione è moralmente ingiusta se si decide di salvare una vita, sacrificando l’altra. Al contrario, la separazione delle gemelle siamesi deve essere animata dalla ferma volontà di salvarle tutte e due. Non è lecito decidere a quale delle due bambine dare la possibilità di sopravvivere.
Un umanesimo, laico e cristiano, impedisce ogni forma di discriminazione o calcolo utilitarista nel rapportarsi alla vita umana. Anche nelle situazioni più difficili, come questa, un’etica sapienziale, la competenza e la coscienza del medico dettano il giusto comportamento di fronte al «mistero della vita» affidata a deboli mani.
Luigi Lorenzetti