26/07/2011
Secondo l’Unione delle Province Italiane (Upi), questi enti
rappresenterebbero appena l'1,5% della spesa pubblica complessiva del
Paese e il costo dei consiglieri provinciali sarebbe pari al 5,5% del
totale di tutti i politici eletti, contro il 20,3% di deputati e
senatori. L’Upi, però, ha deciso di non fare più le barricate contro la
soppressione delle Province, ma di presentare una proposta di legge
basata su razionalizzazioni, accorpamenti e tagli che dovrebbero
tradursi in risparmi per 3-4 miliardi di euro l’anno.
In pratica l’Upi
si dice d’accordo all’accorpamento delle Province perché, come sostiene
il presidente Giuseppe Castiglione, «si dice abolire le Province, ma
nessuno dice cosa fare il giorno dopo e nessuno fa una proposta per un
nuovo assetto istituzionale» che tenga conto, tra l’altro, delle
funzioni attualmente svolte a livello provinciale, come la gestione
dell’80% della rete viaria nazionale, l’edilizia scolastica o i servizi
per il lavoro. Compiti, sottolinea, che in Europa 23 Paesi affidano
proprio a un ente intermedio tra Regioni e Comuni.
Da qui la proposta di
legge ordinaria di dieci articoli che da settembre sarà presentata ai
partiti e che, secondo l’Upi, potrebbe vedere la luce nel giro di un
mese o essere affidata direttamente alla valutazione dei cittadini
attraverso la raccolta delle firme.
Stefano Caldoro, presidente della Regione Campania.
Le Norme sulla razionalizzazione delle Province, sull’istituzione delle
città metropolitane, sull’accorpamento di Comuni e sulla soppressione
di enti territoriali intermedi e trasferimento delle relative funzioni,
così s’intitola la proposta, prevedono tra l’altro il dimensionamento
delle Province (il testo non fissa una soglia, ma si parla di enti con
non meno di 500 mila abitanti), la fusione dei Comuni (in linea di
massima quelli con meno di 5.000 abitanti); la soppressione di enti
intermedi e strumentali; l’abolizione dei Consorzi di bonifica, dei
Bacini imbriferi montani, degli Enti parco regionali, degli Ato acque e
rifiuti; l’istituzione della Stazione unica appaltante; la previsione
dell’applicazione della legge anche alle Regioni a statuto speciale.
Secondo l’Upi sono 7.000, per un costo di funzionamento che supera i 7
miliardi all’anno, le società, le aziende, i consorzi e gli enti
partecipati o controllati da Stato ed Enti locali. Con la sforbiciata
prevista dalla proposta di legge i risparmi sarebbero notevoli.
L’iniziativa dell’Upi non è isolata. Anche il presidente della
Campania, Stefano Caldoro, chiede l’accorpamento delle Province che non
arrivano a 500.000 abitanti e dei Comuni sotto i 5.000. Caldoro è molto
polemico verso il Nord: «Il Piemonte, ad esempio, ha otto province,
1.206 Comuni, per 4 milioni e mezzo di abitanti. La Campania ha solo
cinque Province, 551 comuni e un milione e mezzo in più di abitanti.
Altro esempio il Veneto: ha 4 milioni e 912 mila abitanti, sette
province, ma solo Venezia, Treviso, Verona, Vicenza e Padova sono al di
sotto dei 500.000 abitanti. Belluno abbraccia appena 69 comuni e conta
213 mila 876 abitanti. Accorpare sarebbe un’operazione vera di
federalismo e, soprattutto, di tagli alle spese e agli sprechi».
L’iniziativa di Caldoro avrebbe l’effetto di accorpare le Province di
Avellino e Benevento.
Ed è subito scoppiato un putiferio. Tra i primi a
ribellarsi, il Presidente del Consiglio Regionale della Campania, Paolo
Romano, secondo il quale: «Siamo certi – si chiede il presidente Romano –
che accorpando due Province come quelle di Avellino e Benevento,
peraltro nemmeno particolarmente sovraccariche di problemi e con
identità culturali diverse, risolviamo il problema? Ma anche, non è che,
come pure vorrebbe fare qualcuno, tagliando di tutto e di più, non si
finisca poi di fare peggio?».
Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso.
Con le proposte dell’Upi e di Caldoro solo 38 delle attuali 110
Province si salverebbero. Le altre 72 dovrebbero accorparsi. Una stima
di massima considera che rimarrebbero 65-70 enti (vedi tabella
allegata). E se si abolissero i Comuni sotto i 5.000 abitanti,
scenderebbero da 8094 a circa duemila.
Dalla Campania al Veneto. Qui a lanciare l’idea degli
accorpamenti è stato il segretario della Lega Gian Paolo Gobbo, sindaco
di Treviso. Secondo Gobbo potrebbe nascere un’unica Provincia
Treviso-Belluno. Il Corriere delle Alpi ha scritto subito che la
proposta dimostra «lo stato confusionale di una parte di dirigenza del
Carroccio, dopo le sberle elettorali dell’ultimo periodo». E il sito on
line Belluno Autonoma ha aggiunto: «Teniamo a precisare che tali
affermazioni ci lasciano stupiti e delusi. Delusi perché ci aspetteremmo
dal principale partito della regione una proposta unica ed organica per
la valorizzazione delle autonomie locali... che senso può avere unire
realtà tanto diverse quali Belluno e Treviso?». Come si vede quello che
sembra logico in teoria, diventa quasi insormontabile quando si vuole
metterlo in pratica.
Il Pd ha presentato una proposta di legge per molti versi fotocopia di
quella dell’Upi.
Il Pd, in sintesi, chiede: l'accentramento dei Comuni più piccoli,
l’accorpamento delle
province sotto i 500 mila abitanti (di fatto si arriverebbe ad un
dimezzamento delle attuali province), l’accorpamento delle
società che fanno capo ai Comuni (un Comune non potrà avere più di
una
società: e così verrebbero meno migliaia di aziende, con i relativi
consiglieri), la totale incompatibilità
dell’incarico dei parlamentari con qualsiasi altro incarico
(sindaco,
consigliere, presidente di provincia…).
Due considerazioni: non si precisa una soglia di popolazione per
definire “piccolo” un Comune, il che lascia spazio a molte
interpretazioni; si fa passare per un taglio dei costi della politica
l’incompatibilità degli incarichi. In realtà rendere incompatibili gli
incarichi significa solo moltiplicare il numero delle persone che
possono occupare le poltrone. Diverso sarebbe proporre che chi ha più
incarichi non sommi gli stipendi, questo sarebbe sì un taglio dei costi.
All’estero è diffusa l’abitudine che i parlamentari coprano anche
cariche negli enti locali.
Pier Michele Girola