17/05/2012
A San Paolo (Brasile), l'impostometro comunica in tempo reale la somma pagata in tasse dai cittadini (foto Reuters).
Tra i fanatici del "rigore" e i discepoli della "crescita", sono rimasti pochi quelli attaccati a una terza parola, l'unica decisiva sia per rendere efficace il rigore sia per rendere possibile la crescita.
Questa terza parola è: equità. E' difficile capire come si possa avere la "crescita" senza aver prima ridotto l’indebitamento con quella politica tanto odiata che si chiama appunto “rigore”. Anche di “rigore”, però, ne esistono tanti tipi diversi, più o meno utili per avviare la sospirata "crescita". Il rigore applicato in Italia dal Governo Monti ci ha ridato il rispetto delle istituzioni internazionali e degli altri Governi (fondamentale in un mondo di economie interconnesse) ma se ci ritroviamo con 470 mila cassintegrati in più in sei mesi, tanto per fare solo un esempio, qualche problema ci dovrà pur essere.
Uno dei problemi sta sicuramente nel doppio binario su cui viaggiano diritti e doveri da parte delle diverse categorie di cittadini. E’ accettabile che l’imposizione fiscale sui redditi da lavoro sia doppia di quella sulle rendite finanziarie? Ha senso che si parli di “licenziamenti economici”, a discrezione e secondo le condizioni del mercato, per i semplici lavoratori e si accetti il “minimo garantito” per le professioni liberali, che dovrebbero per definizione affidarsi al mercato? Che significa opporsi alla patrimoniale e poi varare quella specie di patrimoniale sulle famiglie che si chiama Imu?
Due considerazioni. Intanto, e soprattutto per quanto riguarda l’Italia, la questione dell’equità non è spuntata negli ultimi mesi. E’ un problema di lungo periodo e la cui responsabilità coinvolge anche i Governi precedenti. Prendiamo Berlusconi: la cosiddetta “‘abolizione dell’Ici” (in realtà, una seconda tranche per i redditi più alti) fu un gran regalo ai benestanti. Lo scudo fiscale idem: la tassazione era ridicola (prima 2,5%, poi 5%, quando l’aliquota “normale” era già oltre il 40%), il rientro medio fu di 100 mila euro per operazione. Difficile che fossero tranvieri o insegnanti a sciacquare così i loro capitali. Monti, di suo, ci ha aggiunto la fretta di far cassa, con gli esiti che vediamo.
Seconda considerazione: il problema dell’equità non è italiano ma riguarda tutta la società occidentale. Il che dimostra che non si tratta di un cedimento occasionale ma di un vizio strutturale. Qualche esempio: nell’ultima legge finanziaria, il Governo conservatore della Gran Bretagna ha abbassato dal 50% al 45% l’aliquota più alta; ma ha respinto la proposta del Liberal-democratici di alzare da 8 a 10 mila sterline l’anno la soglia per l’esenzione totale dalle imposte sul reddito.
Passiamo alla Francia: tre studiosi (Landais, Piketty e Saez), con un saggio comparso anche in Italia (Per una rivoluzione fiscale, La Scuola), hanno dimostrato che lo 0,1% più agiato dei 50 milioni di francesi adulti (cioè 50 mila persone che portano a casa più di 60 mila euro lordi al mese) affronta al momento di pagare le tasse un’aliquota del 35%, mentre i 25 milioni più poveri degli stessi 50 milioni di francesi adulti (quelli cioè con un reddito mensile tra i mille e i 2.200 euro) si beccano un’aliquota del 45%.
Gli Stati Uniti d’America: il Congresso ha appena respinto il piano dei democratici per applicare la famosa “Buffett Rule”, dal nome del celebre finanziere Warren Buffett, tredicesimo uomo più ricco al mondo, che l’aveva proposta. Il riccone aveva detto in Tv che detestava l’idea di pagare tasse secondo un’aliquota inferiore a quella scontata dalla sua segretaria. Infatti Buffett, come operatore della finanza, paga il 15% mentre la sua segretaria, con un reddito da lavoro dipendente, si becca il 35%.
In Italia sappiamo come va, quindi il panorama è abbastanza completo. Come si diceva, il problema dell’equità è globale. Ed è globalmente percepito. In Francia, Hollande è diventato presidente anche proponendo di tassare meglio i super-ricchi. E in Gran Bretagna il Governo Cameron ha preso un’imbarcata sullo stesso tema. Da noi, dove tutto è più drammatico o farsesco, ci sono i suicidi o gli assalti a Equitalia.
Ora: se la crescita senza il rigore (cioè la riduzione del debito) è impossibile, il rigore senza equità è improponibile. E dunque pare proprio che senza equità non si arriverà mai alla crescita.
Fulvio Scaglione