14/08/2011
Tra una Manovra e l’altra il Governo pare accanirsi sulle famiglie con un rasoio fiscale a tre lame, non bastassero le precedenti “passate”. E’ infatti come se pagassero tre volte il conto.
Prima rasoiata: la riduzione delle agevolazioni fiscali. Nella Manovra di luglio è previsto un taglio sostanzioso che colpirà soprattutto chi fruisce delle detrazioni Irpef. La rasoiata sarà lineare è colpirà gli sgravi per i figli a carico, le spese mediche, le rette per l’istruzione secondaria e l’università, per i mutui, per le assicurazioni sulla vita. In pratica viene compromesso quel poco di ordito di Welfare delle famiglie che ancora resisteva in Italia.
Seconda rasoiata: i servizi sul territorio. Le famiglie, soprattutto le più povere, verranno colpite indirettamente anche dal taglio dei trasferimenti dello Stato agli enti locali. Da più parti si stanno levando le voci di sindaci, governatori e amministratori vari che avevano già raschiato il fondo del barile e avevano già tagliato tutto il tagliabile. Non rimanendo la carne (i bilanci erano già stati abbondantemente ridotti), non resta che affondare nell’osso: autobus, rette degli asili e dei nidi, mense, assistenza ad anziani e disabili, centri di prima accoglienza. Una fascia di tre milioni e mezzo di famiglie in povertà assoluta rimane praticamente senza alcun aiuto. L’Italia infatti è l’unico Paese insieme con la Grecia privo di misure nazionali in favore dei poveri (se si eccettuano i 40 euro della Social card) e tutto viene demandato a Comuni, Provincie, Regioni.
Terza rasoiata: la tredicesima. Tra le famiglie che contano tra i propri redditi lo stipendio di un dipendente statale, si rischia un magro Natale, poiché la Manovra prevede che se l’ente pubblico non riesce a rispettare gli obiettivi di riduzione della spesa prefissati, i dipendenti, anche se tra di loro c’è chi ha fatto il proprio dovere fino in fondo, debbano dare addio alla tredicesima. Una sorta di rappresaglia amministrativa che probabilmente si infrangerà davanti a una Corte costituzionale. Ma che intanto rischia di deprimere redditi e consumi. Inoltre, se lo statale va in pensione, dovrà rinunciare per due anni alla liquidazione.
Questo è il triplo conto che le famiglie pagheranno, lasciando da parte le iniquità acclarate messe in atto dal Governo nei confronti dei lavoratori dipendenti, chiamati a sostenere gran parte dei sacrifici richiesti, a cominciare dal contributo di solidarietà, che parte dai redditi superiori a 90 mila euro, soglia oltre la quale i lavoratori autonomi, a leggere le dichiarazioni dei redditi, sono pochissimi. Si è preferito tassare preferibilmente chi guadagna, non chi vive di rendita. Una tassa “patrimoniale” avrebbe permesso una politica economica più improntata al rigore e all’equità. E’ stato Marco Mobili, sul Sole 24 Ore, a fare l’esempio di un contribuente in grado di vivere con 100 mila euro di affitti. Ebbene, questo contribuente, optando per la “cedolare secca” del 21 per cento, non solo “porterà a casa un prelievo Irpef scontato più conveniente, ma non sarà tenuto, a meno di modifiche in corsa, a pagare alcun contributo di solidarietà”.
Lo stesso vale per chi vive di rendite finanziarie, anche se l’aliquota sale dal 12,5 al 20 per cento. Chiunque abbia rendite finanziarie infatti non sarà tenuto a pagare un solo centesimo di contributo di solidarietà. Insomma: atteggiandosi a Governo “tecnico”, facendo appello all'unità nazionale e alleandosi con la Bce e il governatore Draghi per fronteggiare la crisi devastante del debito pubblico, il Governo Berlusconi ha fatto però delle precise e selettive scelte politiche, risparmiando dai sacrifici parte del suo elettorato di riferimento. Cosa legittima ma che un Governo tecnico, evidentemente, non avrebbe mai fatto, essendo condannato a conciliare rigore ed equità.
Francesco Anfossi