Lega contro Lega, il patatrac

Comizi vietati per Maroni, poi il contrordine. Lo stato confusionale della Lega e un leader, Bossi, che ha perso il tocco magico. Ma non il "cerchio".

14/01/2012
Roberto "Bobo" Maroni con Umberto Bossi (foto Ansa).
Roberto "Bobo" Maroni con Umberto Bossi (foto Ansa).

Che nella Lega il confronto e il dibattito non abbondassero lo si sapeva da quando è nata la Lega. Il partito che si vanta di stare all’opposizione per la salvaguardia della democrazia, la democrazia al suo interno l’ha sempre praticata poco nella sostanza.


      Lo scettro del potere è sempre rimasto in mano al suo fondatore Umberto Bossi, che ha sempre deciso tutto: tattica e strategia politica, apparati, dirigenti, segretari di sezione, fino all’incarico dell’ultimo militante. Se il fascismo aveva il suo Farinacci, la Lega non riusciva nemmeno a tollerare una “suocera” del partito. Appena qualcuno osava insinuare una critica, un’ombra nella luce rifulgente del fondatore del Carroccio, veniva punito per la sua hybris e finiva immediatamente nell’oblio: la storia del Carroccio è lastricata di questi personaggi,  a cominciare da Gianfranco Miglio. Uomini, ministri, segretari, apparati, intere correnti, come quella di Bergamo, negli anni Novanta, o i veneti dell’ala radicale degli anni Ottanta, potevano evaporare nello spazio di pochi giorni. Personaggi di successo, intellettuali o politici navigati non sono mai stati particolarmente graditi. Se qualche spiga in mezzo al campo del Carroccio cresceva più delle altre, era meglio tagliarla.

     Il modo con cui Bossi se ne sbarazzava era abbastanza caratteristico e avveniva spesso in cene conviviali. A un certo punto della serata il “lider maximo” accendeva un sigaro, sorseggiava l’ultimo quarto di Coca Cola rimasta nella lattina e all’improvviso saltava su: “Ma quello come sta? E’ un po’ che non lo vedo. Mi hanno detto che marcia male, mi hanno detto che l’è un po’ strano ultimamente”. Era il segnale convenuto. La macchina dell’oblio si sarebbe messa in moto fin da quella sera. In alcuni i casi il soggetto in questione veniva informato prima. “Il Bossi l’altra sera a cena ha parlato male di te…”. Il malcapitato sbiancava e capiva che per lui era finita. Bossi ha sempre avuto dalla sua il popolo della Lega (le Pontide servivano anche a questo: a rappresentare e rinvigorire il suo potere derivante dal popolo) e non c’era nulla da fare, se non abbreviare il tutto bevendo la cicuta delle dimissioni.

     Il potere assoluto di Bossi nella Lega deriva da numerosi fattori. Il carisma del fondatore. L'indiscusso intuito politico. L’intelligenza tattica, più che strategica. L’esigenza, condivisa dal movimento, di mosse rapide e veloci in grado di spiazzare, sparigliare, sorprendere gli avversari dell’agone politico. Alla base dei suoi successi in questo ventennio abbastanza inconsistente che passerà al nome di Seconda Repubblica, c’è sicuramente questo vantaggio di "padre-padrone" del partito, poi sfruttato anche da altri leader, a cominciare da Berlusconi (ma anche, ad esempio, da Di Pietro). 

     Il suo esercizio nasceva anche dall’esigenza di tenere unito un movimento apparentemente monolitico, in realtà molto diviso proprio in virtù della sua vocazione e della sua natura localista. Ci sono ventimila leghe sotto i mari della Lega:  dal Veneto al Piemonte, da Varese a Sondrio, da Como a Reggio Emilia. Ognuna di esse ha idee, tradizioni, mentalità, visioni politiche diverse, frammentate. Non è certo una democrazia ellenica, quella del Carroccio. L’unico modo per federare le diverse anime  era quello di guidare il timone con pugno di ferro, oltre che con “trovate” strampalate ma efficaci, come la Padania, il dio Po, il Parlamento padano e via straparlando. Tutte invenzioni che definivano un’identità che faceva da collante per un movimento variegato e frammentato, nonostante le apparenze di falange del Nord.

     Ma negli ultimi anni il potere del leader ha cominciato a subire qualche crepa. Che la Lega non fosse più un corpo monolitico pronto a seguire Umberto Bossi lo si era capito già dall'ultima Pontida dove alcuni leghisti avevano innalzato uno striscione con la scritta «Roberto Maroni presidente del consiglio».  Maroni è l’eterno secondo, uno dei cofondatori della Lega, molto amico del capo, ma non ne possiede le doti carismatiche. Rappresenta l’ala "governativa" e amministrativa, capitanata dai sindaci di Varese e Verona.

     Un’ala efficientista, che ha dimostrato di saper governare le città (come Tosi a Verona), molto pragmatica, molto dorotea come vocazione, che spesso ha sfruttato la becera propaganda xenofoba della Lega al solo scopo del consenso, per poi esercitare il potere amministrativo in tutt’altra direzione. Verona, una delle città con il più alto tasso di integrazione, è un esempio.  I congressi della Lega avevano sommessamente certificato la divisione tra maroniani e "cerchio magico", come viene chiamato il clan di potere formato da preferiti e famigli che circonda il “caro leader” Umberto Bossi da tempo.  Il caso Cosentino ha semplicemente fatto venire a galla la spaccatura e il caos che covava nel Carroccio. 

     Ma anche fin qui, in fondo, nulla di nuovo. Lo stesso Maroni, negli anni Novanta, era stato protagonista di una linea di dissenso, per poi rientrare nei ranghi.  Nessun uomo della Lega può permettersi di sfidare Bossi. Alla fine il rapporto si sarebbe risolto sempre in suo favore. La vera novità  nel Carroccio, è il popolo. Proprio così. Il popolo stanco dell’alleanza con Berlusconi, dei casi Cosentino, delle voci di maneggi finanziari, deluso dall’aumento delle tasse, e dello specchietto delle allodole del federalismo. Il caso dei presunti investimenti dei fondi della Lega in Tanzania, se fosse vera, sembrerebbe inventata dai fratelli Vanzina o dai Legnanesi. Bossi, Maroni e compagnia a far le leggi contro i clandestini, a respingere i barconi, mentre il cassiere del Carroccio fa i suoi bravi investimenti in Africa. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere per quel che è capitato ai tanti immigrati e ai naufraghi dei barconi.

     Il dissenso sta montando dalla base della Lega, ovvero dalla fonte del potere di Umberto Bossi. Il popolo che non lo ha mai tradito, che lo ha aspettato persino durante le fasi drammatiche della sua malattia. Il timore nella Lega è che la protesta si materializzi in piazza. E per Bossi sarebbe davvero la fine. Bossi ne è terrorizzato, al punto da aver fatto una mossa controproducente e pochissimo furba, quello di impedire a Maroni addirittura di parlare in pubblico, annullando l’agenda degli incontri previsti dall’ex ministro dell’Interno. Una direttiva, una fatwa, come l'ha definita Maroni,  che rende immediatamente l’idea dello scompiglio che regna all’interno del cerchio magico. Tra l'altro è paradossale e istruttivo che il capo del movimento più antislamico del Parlamento sia accusato dal suo numero due di adoperare mezzi da fondamentalismo islamico. L'ayatollah Umberto Bossi da Cassano Magnago.

     Resta il dissenso del popolo della Lega, che ha scelto l'ex ministro dell'Interno come simbolo della fronda. Nel 2012 è assolutamente impossibile frenare le voci del dissenso, anche nella Lega. Basta vedere (o ascoltare) quel che si è scatenato nei siti, nei blog, in Facebook o a Radio Padania, nonostante i tentativi di soffocare queste voci. La grande paura ora è per il 22 gennaio. La manifestazione convocata per quel giorno in piazza del Duomo a Milano contro il «governo ladro», è una sfida all’ok Corral per le due Leghe, ma potrebbe concludersi con un flop e accelerare la crisi di un movimento che non riesce più a dare risposte politiche ai suoi elettori in tempi di crisi.    

Francesco Anfossi
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Postato da lorenzo dalai il 21/01/2012 16:26

al di là delle numerose presenze televisive,la qualità della Giunta Tosi è stata di una scarsezza desolante,tant'è che alla richiesta di citare tre realizzazioni del quinquennio governato dalla Lega,la maggior parte dei veronesi non sa rispondere.... vedi anche: Una fotografia impietosa. Ecco i debiti del Comune di Verona dopo cinque anni di amministrazione Tosi www.lansadelladige.it

Postato da perini gianni il 16/01/2012 14:34

tempo scaduto per la lega. se si andasse a votare ora, ne sono certo , questo partito che abbaia in piazza e poi salva i criminali, sparirebbe .

Postato da CZAR il 15/01/2012 11:34

Il "genio politico" di Bossi è consistito nell'aver capito subito e prima di tanti altri come sfruttare le scellerate leggi elettorali di tipo "bipolare" che l'Italia ha dovuto subire in questi ultimi anni. La Lega si è così ritagliata un comodo ruolo da ago della bilancia, sia come indispensabile appoggio ai vari governi Berlusconi sia come leva per minacciare elezioni anticipate (vedi caduta del primo governo Berlusconi). Tutto ciò rimanendo sempre una minoranza, non solo nel Paese, ma anche in gran parte delle realtà del Nord da lei direttamente amministrate. Adesso forse (ma non è ancora sicuro) il gioco, fattosi troppo scoperto, è finito, anche per il venir meno della vigoria fisica del capo supremo. Chi lo circonda attualmente, a cominciare dal Trota, non è all'altezza così come non lo è neppure lo stesso Maroni. Credo che una auspicabile riforma elettorale in senso più proporzionale con soglia di sbarramento a livello nazionale metterebbe fine alla avventura leghista.

Postato da Andrea Annibale il 15/01/2012 04:59

Ho il massimo rispetto per un movimento che, prendendo voti solo nel centro nord, ha quasi il 10% delle intenzioni di voto. Il carisma di Bossi deve a mio avviso essere valutato anche a livello nazionale e non solo all’interno della Lega Nord. Ecco che in questo senso si attesta (fonte RAI, Ballarò) ad un misero 21%, contro il 61% di Monti, il 43% di Bersani, il 40% di Casini e di Di Pietro ed il 38% dell’odiato Fini. Persino Vendola fa meglio di Bossi con il 37% delle preferenze tra gli italiani. Questo in un quadro di profonda sfiducia nei confronti dei politici e dei Partiti. Sarei più interessato a sapere come la Lega Nord governa i numerosi Comuni e Province nonché alcune Regioni del Nord. La mia Regione, in particolare, il Piemonte è stato regalato dalla Bresso a Cota per una manciata di voti con la dichiarazione maldestra della Bresso stessa che, a domanda se fosse credente, rispose (la sventurata) alla vigilia delle elezioni che se fosse stata credente sarebbe stata protestante e non cattolica. Viva la sincerità, comunque! Ora, la palla è nelle mani del Terzo Polo che è sempre più l’ago della bilancia. A mio avviso, la diaspora politica dei cattolici è un dato irreversibile. Resta da vedere quali saranno le future mosse di Casini e Fini per il bene dell’Italia. Io penso che l’operazione giusta da fare sia quella di ricompattare i cattolici del centro-destra che devono trovare una loro identità, finita l’era Berlusconi. Tempo fai pensai a Tremonti come leader di un nuovo centro-destra se Berlusconi avesse fatto un passo indietro a suo favore. Oggi quella ipotesi pare forse tramontata. Per fortuna si è mosso molto bene il Presidente Napolitano che è il salvatore della Patria, assieme a Fini e Casini. Ho fiducia in Monti il cui operato sto seguendo con circospezione, specialmente sulle liberalizzazioni dove vedo nei punti oscuri. Come già scrissi, viva l’Italia unita e solidale! Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

Postato da martinporres il 15/01/2012 01:43

Ho l'impressione che Maroni e i sindaci di Verona e Varese siano le persone più credibili della Lega. Bossi dovrebbe farsi da parte per accelerare il confronto interno, ma potrebbe essere troppo tardi. Non ha capito che il suo tempo è scaduto

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