05/05/2011
Il famoso cavallo della sede Rai di Viale Mazzini a Roma.
E così il nuovo direttore generale della Rai è una piacente signora sulla cinquantina, Lorenza Lei, niente fard né trucco, manager di lunga e proficua esperienza aziendale, stimata da tutti e munita, ciò che non guasta, dei necessari agganci. Una faccia nuova, così come è una novità la scelta di una donna, premiata dal voto unanime del Consiglio di amministrazione. Una gestione insomma che, dopo i travagliati anni di Mauro Masi, si apre sotto i migliori auspici. Tanto fausti, diremmo, da suscitare anche una qualche apprensione.
Nella Rai, assai più che in altre aziende, il lavoro di guida e indirizzo si svolge su due diversi livelli. Insieme ai risultati economici conta, anzi prevale, l’immagine. Se la sensazione che si ricava all’esterno è di scarsa autonomia, o peggio di prona sudditanza ai partiti, i numeri in nero o in rosso perdono importanza. Anche prima di Masi si discuteva sull’informazione pilotata, non sui saldi di bilancio.
Certo la signora Lei dovrà rimediare alla miopia con cui sono stati affrontati i problemi tecnologici, ai ritardi negli investimenti, alle perdite di posizioni rispetto ad una concorrenza più attrezzata, anche a un uso discutibile del personale dipendente: dove essere capaci è meno utile che essere raccomandati. Tutto arduo e impegnativo, indubbiamente. Ma è su un altro piano che si giocherà la partita vera.
Per questo gli elementi di preoccupazione non mancano. A scorrere i giornali, parrebbe che negli anni la signora Lei si sia guadagnata il favore degli ambienti più disparati, dalla politica alle gerarchie ecclesiastiche. Se però queste ultime guardano ai tempi lunghi, con il distacco riservato alle beghe terrene, lo stesso non si può dire di altri protagonisti della vita pubblica. A cominciare, superfluo dirlo, proprio dal mondo dei partiti.
Prendiamo un solo esempio. In una destra convinta che la Rai sia in mano ai conduttori di sinistra, pochi ammettono che oltre al contraltare del Tg1 funzioni, e come!, la flotta corazzata dei Tg di Mediaset. Per converso, la sinistra che si dice offesa da Minzolini e Fede giustifica appieno il ruolo e il peso politico dei vari Santoro, Floris, Annunziata, Fazio, Dandini e soci. Questioni marginali, si dirà: non è da questa strada che passa il risanamento di una grande azienda. Verissimo. Resta tuttavia il fatto che proprio su simili dettagli si sono accentrati da anni il conflitto fra i partiti e le giuste reprimende dell’utenza. Mauro Masi è stato solo l’ultimo a doverne pagare il prezzo (peraltro ricambiato con una poltrona meno irta e meglio pagata).
Ora può anche darsi che, di fronte alla nuova gestione, almeno all’inizio i politici sentano un po’ di pudore. Visti però i precedenti è facile pronosticare che, alla lunga, nemmeno la signora Lei avrà vita comoda.
Dunque, aspettiamo. L’attivo di bilancio, se raggiunto, non andrà sottovalutato. Lo stesso per il progresso elettronico. Ma se oggi i fucili sono deposti in rastrelliera, basterà poco perché di qua o di là si torni a spianarli. L’unanimità per la signora Lei andrà verificata al momento di dimostrare, nei fatti, la reale autonomia dell’ente pubblico. Non solo negli incarichi interni ma soprattutto nell’informazione e nei suoi inevitabili dosaggi. Il concetto di autonomia non è la pantalonata della “par condicio” ma una cosa assai più seria.
Giorgio Vecchiato