08/05/2013
Il deputato della Lega Nord Luca Leoni Orsenigo mostra un cappio di corda nell'aula di Montecitorio, 1993. (Ansa).
«Non è stato un gesto elegante nei confronti di un politico che ha segnato la storia d’Italia». Così Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, ha commentato pubblicamente la scelta di Umberto Ambrosoli che, al momento della commemorazione che la Regione Lombardia dedicava a Giulio Andreotti, è uscito dall’aula.
Un’uscita in punta di piedi quella di Ambrosoli, silenziosa, senza proclami. Non ce ne sarebbe stato bisogno: in molti ricordano quando Andreotti intervistato in Tv nel 2010 definì Giorgio Ambrosoli, - “l’eroe borghese” commissario liquidatore della Banca Privata italiana ucciso dalla mafia nel 1979, - «uno che in termini romaneschi se l’andava cercando».
Una spiegazione Umberto Ambrosoli l’ha data, dopo, con parole garbate, ai microfoni che gli venivano incontro nei corridoi della Regione: «Ho una storia personale che si mischia, ma non è il caso di fare polemiche: è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma le istituzioni sono fatte di persone che fanno i conti con la propria coscienza».
Per chi l’avesse dimenticato Umberto Ambrosoli è il figlio più piccolo di Giorgio, aveva sette anni quando il padre fu ucciso su mandato di Sindona. Chiunque abbia presente Umberto Ambrosoli, condivida o meno le sue idee, sa che ha modi signorili, che non alza mai la voce, che si esprime sempre, anche nel dissenso, con parole misurate.
Se non ci fosse di mezzo una tragedia italiana, con il suo corredo di dolore e di mistero, verrebbe quasi da ridere all’idea che a insegnargli la buona creanza (ammesso che sia questo il cuore del problema) intervenga proprio un esponente del partito dei noti arbitri elegantiarum che hanno apportato alla politica tocchi di classe quali il dito medio, il cappio in Parlamento, l'eloquio non propriamente aulico dell'europarlamentare Mario Borghezio. Forse si tratta di intendersi sul concetto di eleganza.
Elisa Chiari