22/12/2011
La nave petroliera «Savina Caylyn».
Liberi. Tutti. Finalmente, torneranno a casa. Il più bel dono di Natale. Dopo dieci mesi e mezzo di sofferenze, privazioni, angoscia dei familiari, paura di non farcela, è finito il calvario dell’equipaggio della nave petroliera nave «Savina Caylyn» della compagnia Fratelli D’Amato, sequestrata l’8 febbraio scorso al largo delle coste della Somalia. Nel Golfo di Napoli, a Procida – l’isola che ha dato e dona il maggior tributo di marittimi a queste dolorose vicende, assieme alla Costiera sorrentina - le campane di tutte le chiese suonano lungamente a festa. E anche a Piano di Sorrento, Gaeta, Trieste la cittadinanza esulta mentre i familiari dei marittimi cercano di contenere l’ondata di emozione che rischia di sommergerli.
Una drammatica immagine degli uomini della Savina Caylyn durante il sequestro.
«Le nostre preghiere sono state ascoltate, ora si può festeggiare degnamente», commenta a caldo don Lello Ponticelli, decano dei sacerdoti di Procida. E la comunità isolana che tanto si è battuta, con il Comitato di cittadini “Liberi subito”, per il rilascio della nave (sequestrata due mesi prima della «Rosalia D’Amato», presa il 21 aprile e anch’essa liberata ma prima, il 25 novembre scorso) si stringe stavolta con lacrime di gioia alle famiglie dell’equipaggio: 22 uomini, 17 indiani e 5 italiani (il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera, 47 anni, procidano come il terzo ufficiale Crescenzo Guardascione, 40 anni; il direttore di macchina Antonio Verrecchia, 62 anni, di Gaeta; il giovane allievo di coperta Gianmaria Cesaro, sorrentino, classe 1985 e il triestino Eugenio Bon, 30 anni, primo ufficiale di coperta).
«Ora la nostra felicità è completa, non più dimezzata», confida commossa Graziella Scotto di Vettimo, zia del procidano Gennarino Odaldo, un membro dell’altro equipaggio rilasciato e tornato già a casa, pelle e ossa, dopo una settimana di navigazione sulla malandata Rosalia D’Amato.
Più prudenti i familiari del comandante della Savina Caylyn, duramente provati dalla lunga attesa della notizia del rilascio che era nell’aria da giorni e ora rimbalza tra sollievo e persino incredulità, prima delle definitive conferme ufficiali della Farnesina che inizialmente mantiene per ragioni di sicurezza il «riserbo stampa» sulla vicenda e intanto smentisce, con la compagnia Fratelli D’Amato, il pagamento di un riscatto record: secondo il sito Somalia Report, da fonti dei pirati, una cifra da capogiro di 11,5 milioni di dollari, che sarebbero stati pagati in due tranche, calate attraverso elicotteri (8,5 milioni di dollari la prima tranche, tre milioni la seconda). «Se la sono vista gli assicuratori e gli avvocati, nemmeno io conosco i dettagli economici e finanziari», ha dichiarato al Mattino il cavaliere Luigi D’Amato, proprietario attraverso la Dolphin Tankers e la Fratelli D’Amato della nave mercantile sequestrata.
Un'immagine di repertorio: l'esercitazione anti-pirati dei commando della marina inglese.
«Sapevamo che la trattativa era giunta nella fase finale, ma dopo tanti mesi di paura dobbiamo aspettare in silenzio le dichiarazioni ufficiali della Farnesina per poter credere che sia davvero tutto finito», spiegano Nunzia Nappa e Rachele Lubrano Lavadera, moglie e sorella del comandante Giuseppe la cui primogenita, Libera, non riesce a trattenersi alla notizia del rilascio del suo papà scrivendo soltanto, su Facebook: finalmente liberi. «Abbiamo appreso la notizia dapprima da Internet, perciò siamo contenti a metà e attendiamo fiduciosi l’evolversi degli eventi», aggiunge Annarita Guardascione, sorella del terzo ufficiale di coperta Crescenzo. E anche l’altro loro fratello marittimo, Liberino, al momento imbarcato in Venezuela, le suggerisce prudenza via web.
Prudenza d’obbligo, fino a quando le famiglie dell’equipaggio non riusciranno a riascoltare una ad una le voci dei loro cari, debilitati dalla lunga prigionia, e a riabbracciarli finalmente, a operazione di rientro conclusa in sicurezza. La drammatica vicenda non è infatti considerata del tutto chiusa finché la nave mercantile con i suoi uomini, presa in consegna dall’unità della Marina Militare italiana Grecale, impegnata nell’operazione Nato antipirateria Ocean Shield, non sarà scortata in acque meno insicure di quelle somale, prevenendo ogni possibilità di ulteriori attacchi. La Marina si è attivata con il team di sicurezza del reggimento San Marco, l’equipe sanitaria e quella di assistenza tecnica, per tutelare la navigazione, accertare lo stato di salute dell’equipaggio, verificare le condizioni della nave. Secondo D’Amato, i marittimi stanno tutti bene anche se provati e dopo la necessaria messa a punto, la nave potrebbe riuscire a partire già domani (23 dicembre) alla volta degli Emirati Arabi.
Intanto, da nord a sud i telefoni dei familiari dei marinai “scottano” e le loro case sono assediate da parenti, amici e giornalisti. Ma l’atteggiamento comune a tutti è di frenare l’entusiamo, contenere la gioia, chiudersi nel più stretto riserbo per tutelare l’operazione di rientro, che durerà giorni: «Finché non risentirò la voce di mio padre non potrò capire come sta. E anche se non riuscissimo a passare il Natale insieme, come sognavo, confido nel Capodanno», dice Nicola Verrecchia, figlio del direttore di macchina Antonio, membro più anziano dell’equipaggio, che in una drammatica telefonata da bordo disse di essere stato picchiato dai suoi carcerieri-aguzzini. Anche a Trieste i genitori di Eugenio Bon, papà Adriano e mamma Elisabetta Doimi, frenano: «Ci dicono che la situazione è ancora incerta e che non possono confermarci la totale sicurezza dell’operazione di liberazione: dopo averne sentite tante, in questi mesi, ora crederemo che tutto sia finito solo quando riabbracceremo il nostro unico figlio», ammettono arroccati in casa. Di certo, la navigazione verso la salvezza definitiva durerà qualche giorno.
Un’ultima attesa che inquina di ulteriore nuova ansia la gioia dei familiari. Come quella di Antonio Cesaro, papà marittimo del giovane Gianmaria che tre settimane fa, alla notizia della minaccia di sciopero della fame e della disperazione della madre che non lo sentivano da mesi, è riuscito a farsi vivo «per tranquillizzarmi, preoccupato lui per noi», ricorda il padre con voce rotta dall’emozione. E aggiunge: «Quando tutto sarà davvero finito, chiederò molte spiegazioni sulle anomalie di questo sequestro».
E chissà che dietro l’”anomalia” della durata non ci sia, come ipotizzato da alcuni osservatori, la presenza a bordo di marinai indiani (appartenenti a uno Stato che ha incrementato le iniziative di controllo antipirateria somala), che avrebbero allungato i tempi della trattativa. Anche per la nuova tecnica dei pirati somali, segnalata dai responsabili della missione navale antipirateria dell’Unione Europea, Atlanta: rilasciare le navi ma tenere in ostaggio parte degli equipaggi (in questo caso, gli indiani) per scambiarla con compagni arrestati.
Donatella Trotta