Mafia, riprendiamoci il maltolto

Parte alla Cattolica di Milano il corso di alta formazione per amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati alla mafia.

26/10/2012
La mappa dei beni sequestrati alla mafia.
La mappa dei beni sequestrati alla mafia.

“Riprendiamoci il maltolto”: recitava così la campagna di Libera che nel 1996 portò, con oltre un milione di firme raccolte, all’approvazione della legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. È in questa direzione che si colloca ora il Corso di Alta Formazione per Amministratori Giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati (il primo al Nord), che partirà a novembre all’Università Cattolica di Milano, in collaborazione con il Tribunale di Milano e la Procura Antimafia. Il suo Procuratore Nazionale, Piero Grasso, ha spiegato il senso dell’iniziativa: “Il problema è la formazione di coloro che dovranno gestire i beni sequestrati alla criminalità organizzata. Serve personale specializzato dal punto di vista tecnico e amministrativo”.

Il Corso della Cattolica intende fornire al mondo delle professioni (dottori commercialisti, avvocati, dirigenti d’azienda) le competenze indispensabili per gestire i cespiti sottratti dall’azione della magistratura ai circuiti illeciti. Il Corso è stato inaugurato da una tavola rotonda dal titolo “Intrecci tra mafia e impresa nel tessuto economico del Nord Italia”. Il Procuratore capo di Milano Bruti Liberati ne ha sottolineato una caratteristica: “Non sempre è il sodalizio criminale che si inserisce nell’economia e nella politica. Spesso è il contrario: ci sono pezzi della società che cercano in prima persona la mafia per i propri interessi”. C’è poi un’evoluzione nel rapporto con la politica: come denunciato dall’inchiesta “Infinito”, esponenti della ‘ndrangheta, superando la tradizionale ritrosia delle mafie del sud ad agire in prima persona nell’attività politica, hanno cercato di presentarsi direttamente alle elezioni amministrative di comuni del Milanese, con una propria lista, in modo da gestire direttamente gli appalti del territorio.

E non si tratta di una caso isolato: basti pensare alle infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese nel mondo della politica registrate in Piemonte, come dimostrato dagli scioglimenti delle giunte comunali di Rivarolo, Leini, Bardonecchia, o in Liguria, con lo scioglimento di Ventimiglia e Bordighera. E, il fatto più grave, il recente arresto dell’assessore della Regione Lombardia Zambetti, così commentato dal Procuratore Grasso: “Sulle infiltrazioni lo sapevamo, e anche sull'eventuale accordo per lavori e assunzioni. La cosa nuova è la vendita dei voti, inedita: non pensavamo si arrivasse a questo”. Il patrimonio confiscato alle mafie è presente in circa il 10% dei comuni italiani; ad aprile 2012, sono ormai 12.083 i beni sottratti alle reti criminali attive in tutta Italia (10.531 beni immobili e 1.532 aziende). Anche al nord, dove - spiega Giovanni Fiandaca, giurista dell’Università di Palermo - “non è più criminalità esportata, ma insediata”.

Un recente rapporto del CNEL denuncia che le infiltrazioni mafiose “si sono insinuate fin dentro il cuore dell’economia e della finanza della città e delle regioni del nord”. Prosegue, insomma, “la conquista silenziosa di pezzi dell’economia legale, la sostituzione di vecchi proprietari - imprenditori o commercianti - attraverso il prestito usuraio che, insieme all’edilizia, è diventato il vero cavallo di Troia per conquistare le cittadelle economiche del nord”. Alla faccia di chi crede che la criminalità organizzata sia solo al Sud. I numeri parlano chiaro: nella classifica delle regioni, la Lombardia è al quinto posto per gli immobili confiscati (818) e addirittura al terzo per le aziende (207). Sono ville, interi palazzi, negozi, fabbriche e persino fattorie. Un patrimonio immenso: solo nella provincia di Milano, dove si contano 448 confische, il “tesoro” sequestrato negli ultimi cinque anni è stimato intorno ai 60 milioni di euro. Il recupero all’economia legale di questi beni è cruciale: “Spogliare i mafiosi significa renderli meno credibili, meno autorevoli.

Il re diventa nudo”, spiega il prefetto Caruso, direttore dell’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, che collaborerà con il Corso dell’Università Cattolica. Quando un bene che apparteneva ai casalesi di Francesco “Sandokan” Schiavone diventa la sede del caseificio della cooperativa “Le terre di don Peppe Diana”, assume prima di tutto un valore simbolico. Così come gli immobili convertiti a uso sociale nella provincia di Milano, dal fabbricato del Comune di Rescaldina, destinato all’accoglienza dei genitori di bambini ammalati, alla sede della Croce Rossa di Buccinasco, ospitata in una villa lussuosa e super blindata, con vasche da bagno e rubinetti d’oro. Ma, perché il tesoro dei boss possa venire finalmente riutilizzato per scopi sociali, occorrono in media cinque anni. A volte anche dieci. Se il boss ricorre al sequestro, spesso si deve attendere fino a tre gradi di giudizio prima di arrivare alla confisca definitiva e al bando per l’assegnazione alle associazioni. In tutto questo tempo, i beni rischiano di rovinarsi e perdere valore.

Particolarmente drammatico è il caso delle imprese: nove su dieci tra le aziende sequestrate alle mafie e affidate agli amministratori giudiziari non ce la fanno a stare sul mercato e chiudono. E sono i lavoratori a rimetterci. “Quando si sequestra un’azienda, andrebbero tutelati i lavoratori e le loro famiglie”, dice il Presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro. È anche per evitare casi come questi che nasce il Corso della Cattolica, perché, come sostiene il Procuratore Grasso, “un bene che non si può utilizzare, non completa fino in fondo quella che è la funzione della confisca, e cioè l’utilizzo del bene”.

Stefano Pasta
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