27/10/2012
Una cerimonia religiosa dei Purepecha, in Messico (foto del servizio: Reuters).
Da Washington - La criminalità organizzata ha trovato un nuovo mercato per diversificare gli introiti. Secondo uno studio delle Nazioni Unite, la deforestazione illegale delle foreste tropicali rende alla mafia 11 miliardi di dollari l’anno. Se si tiene in considerazione le stime della Banca Mondiale, che valutano sui 13 miliardi l’anno i guadagni dal traffico di droga, lo sfacelo delle foreste è diventato un mercato molto proficuo.
Circa un terzo del disboscamento registrato del bacino amazzonico, Africa Centrale e Sud Est Asiatico è illegale con impatti che vanno dalla perdita di milioni di animali, al cambio di clima, alla perdita delle pozze acquifere. Secondo il National Geographic il 70% degli animali del pianeta vivono nelle foreste e molti non possono sopravvivere alla distruzione del loro habitat provocato dell’abbattimento degli alberi che li riparano dal sole durante il giorno e mantengono il calore nel corso della notte. La mancanza di alberi, inoltre, provoca uno sbalzo di temperatura che può essere deleterio a quegli animali e piante eventualmente sopravvissuti al disboscamento vero e proprio.
Un altro fattore da tenere in considerazione è che la deforestazione provoca il cambio di clima perché gli alberi favoriscono il ciclo dell’acqua convogliando continuamente il vapore nell’atmosfera. In pratica, una foresta privata degli alberi rischia di diventare un deserto. Uno degli esempi più classici è l’ isola di Pasqua, oggi completamente brulla e dove non si vede un albero ma di cui si sa che a partire dal 1010, probabilmente per trasportare nei luoghi di culto i famosi Moai, è stata completamente disboscata.
Per via della connessione fra deforestazione e rischio di perdere il ciclo dell’acqua, gli abitanti di una cittadina in Messico si sono organizzati contro i taglialegna illegali che avevano cominciato a falciare migliaia di acri di foresta. Combattere contro “La Familia Michoacana”, l’ organizzazione criminale che due anni fa ha cominciato a mandare operai a tagliare alberi, non è un gioco da ragazzi per la tribù dei Purepecha che vive nella zona montagnosa che fa capo a Cheran, una città di 17 mila abitanti.
Disperati perché sia il Governo centrale sia la polizia locale rifiutavano di intervenire contro la mafia, gli indigeni si sono organizzati istituendo una vera propria legge marziale. “Questa gente cattiva veniva tagliava e se ne andava - ha spiegato uno dei responsabili della rivolta – completamente insensibili al fatto che senza alberi ci si ritrova presto senza acqua, il terreno cede per via dell’ erosione e non si può sopravvivere”. Dopo che il sindaco ha nominato un vero e proprio consiglio di guerra, istituito posti di blocco, chiuso le scuole, vietato l’ingresso nei terreni del comune alla polizia corrotta, gli abitanti si sono organizzati per pattugliare notte e giorno l’intera zona armati di fucili rubati nel corso di un assalto ad alcune caserme della polizia.
Il prezzo per mantenere la foresta che fornisce non soltanto tronchi per le capanne ma anche erbe per curarsi è finora di quindici morti, cinque scomparsi e tredici rapimenti. Secondo David Pena, l’avvocato che rappresenta la città, il disboscamento illegale ha già danneggiato l’80% dei 44 mila acri di foresta. “Siamo uniti e non abbiamo paura – ha spiegato un giovanotto di Cheran con una bandana rossa – la nostra è una lotta tipo Davide e Golia perché la criminalità organizzata e’ molto potente”.
Non tutti purtroppo hanno la fiducia del ragazzo con la bandana rossa. A un posto di blocco dove fa bella mostra di se uno striscione “Vogliamo la pace e la sicurezza”, un giovanotto spiega: “Siamo molto preoccupati e la città è praticamente paralizzata. Temiamo che possano attaccarci per fare del male ai nostri bambini”.
Mariuccia Chiantaretto