20/01/2013
Foto Reuters.
Savino
Pezzotta, presidente del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati),
vede con “inquietudine” la situazione in Mali e soprattutto
l’azione militare francese.
- Siamo
di fronte a un’inevitabile azione militare per rispondere al
terrorismo?
«In
realtà, mi chiedo: da dove arrivano tutte le armi ora in mano ai
gruppi cosiddetti terroristi? Perché? E, da chi? Arrivano dalla
Libia e proprio questa era una delle ragioni per cui ero contrario
all’intervento in Libia. Lì, abbiamo mandato senza controllo
ingenti quantità di armi. Se vogliamo veramente combattere il
terrorismo mondiale, la prima questione è il controllo del commercio
delle armi. Altrimenti, è un imbroglio e pagare sono sempre i più
poveri. Il commercio internazionale delle armi è la vera questione
centrale della lotta al terrorismo, specie in aree geopolitiche così
incerte. Le fabbriche italiane sono leader nel settore: dobbiamo
avere il coraggio di fermare la produzione e riconvertire queste
industrie. Mi dicono sempre che creano posti di lavoro, ma la vita,
anche se di africani o di poveri, ha più valore di tutto. Come dice
Isaia, trasformiamo le lance in falci e le spade in aratri».
- Come
giudica la scelta francese?
«Credo
sia dettata da altri interessi, dalla volontà di ribadire
un’egemonia in quell’area. C’è un problema di legittimità
internazionale. Sebbene ci sia stata la richiesta di aiuto del
Presidente maliano, nella Risoluzione 2085 dell’Onu del 20 dicembre
si parlava di un contingente africano, sotto l’egida dell’Ecowa (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), non della
Francia. La legittimità internazionale è fondamentale, altrimenti
replichiamo la passata logica delle coalizioni dei “volenterosi”.
Inoltre,
la scelta francese, anziché concordare una linea europea, ha messo
l’Ue di fronte al fatto compiuto».
Savino Pezzotta
- Cosa dovrebbe fare il Governo italiano?
«Considerato anche il periodo pre-elettorale, non dovrebbe dare alcun appoggio all’azione militare, neanche logistico. Parlerei di una neutralità attiva, cioè dovremmo limitarci ad aiutare le popolazioni civili, a salvare i più deboli. Qui c’è molto da fare, penso ai profughi (secondo l’Onu, i civili in fuga sono 500 mila, ndr). In quella zona dell’Africa, poi, è fondamentale favorire lo sviluppo della società civile e politica. Ma con strumenti nonviolenti, per evitare di rafforzare la predicazione antioccidentale dei gruppi fondamentalisti. Da mesi si parlava di un allarme sul pericolo Sahel. Alle volte, rischiamo di dimenticarci dell’Africa? Sì, è la storia della cooperazione italiana a testimoniarlo. Qualche segnale diverso è arrivato nell’ultimo anno, ma tagliare la cooperazione nell’area del Sahel è stato un errore strategico tremendo. Siamo a Sud dell’Europa, ma soprattutto al centro del Mediterraneo. Credo l’Italia debba tornare ad avere una politica mediterranea: scommettiamo sul “Mare nostrum”, con uno sguardo verso il continente africano. I confini non devono essere barriere di separazione, ma spazi in cui incontrare e guardare l’altro».
Stefano Pasta