28/04/2011
Mauro Masi
Dopo tante voci, se ne va o non se ne va, sembra che davvero Mauro Masi stia per lasciare la guida della Rai. I suoi avversari, che sono tanti, ne saranno soddisfatti. E’ tuttavia probabile che a sentire il maggior sollievo sia proprio lui, da sempre inviso ai partiti di opposizione ma criticato anche dalla maggioranza.
Masi lascia una poltrona di prestigio, ma parecchio scomoda, andando ad occuparne un’altra del tutto tranquilla e ancor meglio remunerata. Una concessionaria pubblica di servizi assicurativi, niente più a che fare con dei reprobi come Michele Santoro, Floris, Annunziata, Dandini, dai quali si ricavavano soltanto polemiche e fastidi. Soprattutto, niente più reprimende da un premier furioso. Lui e l’Innocenzi dell’Agcom avrebbero dovuto fare piazza pulita. Sennò, strepitava al telefono Berlusconi (e la magistratura intercettava), che ci stavano a fare?
In verità Masi ci aveva dato dentro, secondo le superiori istruzioni. Ma ricavandone assai più danni che risultati. Ogni volta che interveniva contro questo o quello, delle due l’una: o il giudice gli dava torto oppure i conduttori replicavano fra indifferenza e sarcasmo. La telefonata in cui si dissociava da Santoro, salvo fare immediata retromarcia, è tuttora un pezzo forte dei blog. Un inserto comico e di successo, al pari della parodia fatta da Corrado Guzzanti. Se poi, come amministratore, Masi vantava gli esiti gestionali (proficui o no, ancora non si è capito), nessuno gli dava retta. Non importava l’attivo, o la riduzione del deficit. L’impegno era di far fuori la sinistra aziendale. Quindi, per lui, insuccesso pieno.
Diciamolo. Chiunque si trovi nella posizione di Masi è più da compiangere che da condannare. Soldi a parte, ovviamente, e anche a parte le successive ricompense. Sfogliando i giornali delle ultime due annate, è difficile trovare un articolo in suo favore. Fenomeno magari inevitabile con una stampa così politicizzata, che da un lato lo catalogava come addetto a bassi servizi e dall’altro rifletteva il malumore del padrone. Però si tratta di mansioni nelle quali ci si avventura a proprio rischio e pericolo. L’avevano ben capito giornalisti come Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, cui era stata offerta la presidenza della Rai. Saggiamente, si sono ben guardati dall’accettare.
Ora, tramontato Masi, è da interrogarsi non tanto sul nome quanto sul ruolo del successore. Se gli sarà consentito di amministrare in modo equilibrato l’ente pubblico, sarà una novità positiva. Se invece il mandato sarà ancora di natura politica, cioè la discriminazione aziendale fra buoni e cattivi, tutto tornerà come prima. Due ipotesi. Dica il lettore quale sia, a suo giudizio, la più probabile.
Giorgio Vecchiato