14/12/2011
Augusto Minzolini.
Quando un giornale perde copie, o un Tg perde insieme ascolti e prestigio, è abbastanza normale che il suo direttore venga sostituito. Meno normale, anzi piuttosto anomalo, è il modo in cui il vertice Rai ha rimosso Augusto Minzolini.
Per mascherare una spaccatura interna il Cda è dovuto ricorrere a due distinte votazioni, una relativa al direttore uscente, l’altra al suo provvisorio rimpiazzo. Per giustificare questa decisione, legata alle famose note spese di Minzolini, si è richiamato alla natura della Rai come società per azioni e non come servizio pubblico: tesi questa che, portata all’estremo, cancellerebbe l’obbligo del canone. Infine, sempre sul piano giuridico, ha lasciato più di un dubbio sull’interim bimestrale per Alberto Maccari.
Anche a parte l’eterna tecnica del rinvio, quasi non esistessero in Rai candidati affidabili per una soluzione stabile, c’è forse il timore che di qui a fine gennaio il direttore uscito dalla porta possa rientrare dalla finestra. Non sembra infatti che Minzolini sia disposto ad accettare le prestigiose offerte di cui si parla, dalla sede di Parigi a quelle di Washington o New York. Molto più probabile è che compia un tragitto più breve, da casa sua fino alla magistratura del lavoro. E cause del genere, per impopolare che sia diventato Minzolini, non si sa mai come vadano a finire.
Strana vicenda, in verità. Come punto di partenza abbiamo l’aperta sudditanza di Minzolini all’ancien régime, con le omissioni e le deformazioni giornalistiche denunciate da anni. Fosse ancora al governo Berlusconi, le proteste dell’opposizione non sarebbero certamente bastate. Cambiati oggi i rapporti di potere, far cadere le teste diventa più facile. Avremmo quindi capito un giudizio politico e un ripristino (ammesso che ci sia mai stato) dell’equilibrio nell’informazione. Invece il Cda ha scelto di avventurarsi sul terreno scivoloso della legge, già soggetta alle più diverse interpretazioni. Peculato vero, quello di Minzolini, o sfruttamento un po’ troppo disinvolto, come egli sostiene, di concessioni aziendali? E la Rai: servizio pubblico, con tutto ciò che ne consegue, oppure società per azioni come la Fiat? Vai a capire.
Poiché anche nelle questioni gravi non mancano risvolti da commedia all’italiana, due parole ancora sulle spese di Minzolini, per inciso già rimborsate. Il direttore del Tg1, rifiutando di far sapere con chi andava a pranzo o in albergo, nelle più rinomate località turistiche, si è appellato alla “tutela delle fonti”. Ora Minzolini, quando lavorava da temibile cronista politico, aveva tutto il diritto di mantenere segreti i suoi informatori. Come direttore accusato di velare o nascondere i fatti, delle due l’una: o nessuna fonte gli dava notizie, oppure quelle notizie le teneva per sè. Nel Tg1 non se ne è mai vista traccia.
Conclusione. E’ chiaro che, come voce primaria del servizio pubblico, Augusto Minzolini aveva fatto il suo tempo. Tuttavia lo stesso si può dire della dirigenza Rai, divisa fra chi proclama “o si fa così o mi dimetto” e chi risponde: “Olà, mi dimetto prima io”. Con simili duetti, inevitabile che un’azienda vada a rotoli.
Giorgio Vecchiato