“Io non mi schiero con nessuno”. Dunque, oggi come oggi, Mario Monti non si candida né sostiene una determinata parte politica. In un domani, però, è pronto ad esaminare una candidatura di governo basata sui contenuti e sui metodi cui resta fedele. L’iniziativa, eventualmente, dovrà cioè venire dai partiti che vinceranno le elezioni. E poiché nella filigrana della conferenza televisiva si leggono accenni misurati, ma non certo privi di significato, è lecito dedurre che quella di Monti è una posizione centrista, il cui sbocco dovrebbe essere la collaborazione con una sinistra che accetti, appunto, i metodi e contenuti da lui sostenuti. Linea del resto anticipata ieri a Scalfari, e presente anche in molte analisi comparse nei giorni scorsi.
E’ certamente singolare che un premier uscente non chieda per l’immediato una investitura elettorale ma non la escluda,
anzi in concreto la auspichi in seconda battuta, attraverso la futura mediazione delle forze politiche. Ma dopo la “strana maggioranza” cui Monti si è più volte riferito, nemmeno questa stranezza può stupire. Così siamo combinati oggi.
Guardando poi ai possibili esiti di fine febbraio, quando andremo a votare, già si delinea un’altra anomalia. Nel momento in cui fa capire che i centristi potrebbero affiancarsi al Pd, Monti entra in concorrenza diretta con il candidato del Pd, Bersani. Che da un lato apprezzerà, dall’altro non sarà troppo felice.
Attenti comunque a non semplificare troppo. In attesa di quel che succederà, cerchiamo piuttosto di capire che cosa è accaduto in questi ultimi tempi. In primo luogo i motivi per cui Monti, che sembrava propenso a scendere in campo – o meglio a “salirvi”, come ha precisato – ha poi cambiato idea.
Se Monti avesse formato una lista propria, o patrocinato liste di partito, avrebbe dovuto condurre una campagna elettorale in prima persona. Come ovvia conseguenza, avrebbe perso quella che si usa definire “terzietà”, termine poco chiaro che potrebbe riferirsi sia a un ruolo centrista, staccato dalla sinistra come dalla destra, sia a una posizione super partes. Inoltre un Monti
alla guida di una coalizione di centro, più o meno variegata e non proprio concorde, avrebbe corso il rischio di diventare il “leaderino” ironicamente evocato da Berlusconi. Più o meno lo stesso, sia pure in modo più sfumato, se egli si fosse limitato a incoraggiare Casini, Montezemolo e soci della terza forza. In entrambe le ipotesi, l’esito finale avrebbe inevitabilmente investito la sua persona.
A questo riguardo, infine, bisognava anche tener conto dei sondaggi, che non sono la bocca della verità ma nemmeno robaccia da buttare. Una cosa sarebbe stata un Monti con il 30 per cento dei voti. Ben diversa, invece, una quota prossima alla metà, per inciso assai più verosimile. Calcolo pedestre, dal quale però sarebbe stato difficile, per non dire irresponsabile, sottrarsi.
La previsione in effetti è che dal voto di fine febbraio escano una Camera fortemente frazionata e un Senato al limite della governabilità. Negli ultimi tempi, in attesa appunto delle decisioni di Monti, gli analisti si soffermavano soprattutto su una sua eventuale collocazione fra destra e sinistra. Ma a parte che di sinistre ce ne sono tre o quattro, e a destra ci si piglia per i capelli, esiste – e come!... – l’incognita Grillo. Chi la sottovaluta rischia brutte sorprese.
Ora il Monti che in apparenza si chiama fuori dalla mischia, nel chiudere una prospettiva sembra aprirne un’altra. Rimettersi “a disposizione della Repubblica”, come dicono i francesi, può condurre a due sbocchi. Uno è il Quirinale, e qui non servono aggiunte. L’altro è appunto la chiamata esterna, sulle basi appena chiarite. Da chiarire invece, ripetiamo, il rapporto con Bersani, oggi a metà strada fra il collaborativo e il concorrenziale. Quel che già appare chiaro è che dalla prospettiva di centro-sinistra dovrebbe rimanere escluso Niki Vendola, cui lo stesso Monti ha riservato critiche di sostanza. Quindi una coalizione di governo poco o niente condizionata a sinistra e perciò in grado di tranquillizzare i partner europei. E’ disponibile, Bersani? Ma non guardiamo troppo lontano. E non andiamo, come lo stesso Monti ha ammonito, troppo di fretta. Anche dopo la conferenza di fine anno, tutto resta in
movimento. E tale rimarrà, forse, anche dopo il responso delle urne.
Ultima considerazione. Più che a una conferenza stampa abbiamo assistito a un thrilling televisivo. Qualcosa di analogo alla premiazione delle Miss o alle nomination del Grande Fratello, quando i conduttori tenevano in ansia le platee dilazionando il fatale annuncio. Un’ora e mezza prima di conoscere le intenzioni del premier dimissionario. E poi i giornalisti a testa bassa sull’attualità, altro che consuntivi del passato.