10/09/2012
Mario Monti con Shimon Peres.
“Anche
nel campo economico, si sente il bisogno di sconfiggere ogni visione
particolaristica e rassegnata, per acquisire una visione comune del futuro”, dice il premier Monti intervenendo a Sarajevo
al convengo “Vivere insieme è il futuro”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il capo del Governo dei tecnici ha parlato da “uomo dell’economia”, aggiungendo che “la questione non è soltanto quella di mettere a posto i
bilanci pubblici, ma di risvegliare nel Paese una voglia di crescere, di
ottimismo e di fiducia nel futuro. Credo che sia particolarmente importante che
anche nel cercare di risolvere le crisi troviamo formule e modalità che ci
uniscano anziché dividerci”.
Ancora una volta, nella visione di Monti
l’Europa ha un ruolo centrale: “I tempi che stiamo vivendo sono tempi di crisi
e non solo economico finanziaria. Si tratta di una crisi più profonda di quanto
si possa pensare, che mina le basi di quell'umanesimo attorno al quale è nata e
si è sviluppata la costruzione europea. Popoli e nazioni che hanno deciso di
mettere in comune capacità, risorse e conoscenze, per fondare una società nella
quale fosse impossibile ripetere gli errori tragici del passato, sono arrivati
al punto più alto del percorso di integrazione, esprimendo un mercato unico e
un'unica moneta, per poi sembrare aver smarrito il senso del loro agire
insieme”. Così, “l'euro, che rappresenta un fattore unificante da preservare,
ha rischiato di divenire fonte di nuove divisioni, o di nuove linee di
frattura, in Europa. Il senso profondo dell'azione che a livello europeo si sta
compiendo non è quindi solo quello della ricerca di soluzioni tecnico
politiche, ma è prima di tutto quello di uno sforzo teso a recuperare quel
comune sentire, basato sui grandi valori positivi della tradizione europea,
solidarietà, tolleranza, ricerca del bene comune. Questi valori devono
caratterizzare il nostro agire se vogliamo che il nostro continente continui ad
essere un pilastro di civiltà”.
In questo senso, secondo Monti, l'Europa deve
vivere la globalizzazione, non solo senza paura, ma anzi come un'opportunità,
per tornare ad occupare un posto di primo piano sulla scena mondiale. Le
religioni possono giocare un ruolo importante: “In questi anni, abbiamo
compreso meglio quanto siano tornate a essere una realtà importante per la coesione
sociale e per la pace del mondo. La crescente globalizzazione ci pone infatti
di fronte a scenari e a sfide sempre nuovi, tra le quali vedo ai primi posti la
sfida dell'imparare a costruire una società che viva e si alimenti delle
diversità che la globalizzazione ci impone, per divenire più unita, più ricca e
più solidale”.
Lo ha detto proprio a Sarajevo, “città globalizzata
prima della globalizzazione”, la città della convivenza e del fallimento della
convivenza. Una città dalle “memorie differenti”, ma tutte abitate dal dolore,
poiché, come ha ricordato Andrea Riccardi, “il dolore di tutte le madri è
uguale qualunque sia la loro etnia e la loro religione”. Lo ha detto davanti a
numerosi rappresentanti di tutte le religioni del mondo, riunite a Sarajevo a
vent’anni dall’avvio del più lungo assedio d’Europa e a quasi cento dalla
pallottola che fece scoppiare la Prima guerra mondiale.
È qui che fa sosta dal
9 all’11 settembre lo “spirito di Assisi”. Nell’ottobre 1986, infatti, Giovanni
Paolo II organizzò una giornata di preghiera interreligiosa per la pace e da
allora la Comunità di Sant’Egidio, definita da Monti “faro nel mondo che rende l’Italia
orgogliosa di esserne sede”, promuove,
ogni anno in città diverse, un incontro di dialogo tra le religioni. A Sarajevo
sta già dando i primi frutti. Ieri, Irinej, patriarca serbo ortodosso, è
intervenuto alla liturgia celebrata nella cattedrale cattolica: non avveniva da
vent’anni, dal tempo della guerra.
(http://www.santegidio.org/pageID/2461/SARAJEVO_2012.htm)
Stefano Pasta