22/04/2013
Barack Obama.
Poco piu’ di due mesi or sono,il presidente Barack Obama appena rieletto definì il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (al termine della sua ultima visita alla Casa Bianca, e praticamente del suo mandato) un leader straordinario e “visionario”, aggettivo che in inglese assume l’accezione lusinghiera e positiva di “lungimirante”. In quell’occasione - in cui ricordiamo sarebbe stato Obama a dover visitare il Quirinale, ma essendo l’Italia in piena campagna elettorale le diplomazie dei due Paesi optarono per l’esatto contrario - gli analisti notarono quanto raro fosse per un presidente americano lodare in quei termini un “collega” straniero. E che nel caso del presidente Napolitano, che già in piena guerra fredda veniva definito da Henry Kissinger il suo “comunista preferito”, non era la prima volta.
Nel corso dei due incontri precedenti, a Roma nel luglio del 2009 e a Washington nell’agosto 2011, il presidente USA (uno dei più giovani della storia) ne aveva elogiato la leadership, anche e soprattutto a livello internazionale: dall’equilibrio nei rapporti con l’Unione europea – con la quale Obama sta cercando di stipulare da tempo un trattato commerciale che rilassi molti dei limiti negli scambi transatlantici – all’appoggio continuo e costante delle forze italiane alle operazioni americane in Afghanistan. E la “special relationship” - la sintonia sui temi interni e internazionali tra il primo presidente di origini afroamericane e il primo dirigente comunista italiano a visitare ufficialmente (nel lontano 1978) gli Stati Uniti - era continuata, secondo gli insider, anche nei frequenti contatti telefonici.
Tassello fondamentale della stabilità economica Europea, l’Italia, specialmente nei mesi più bui della crisi dell’euro, era in cima alla lista degli osservati (per non dire dei sorvegliati) speciali da questa sponda dell’oceano, e per ammissione dello stesso Obama, Napolitano era in grado di spiegargli in modo diretto ed efficace le complesse sfaccettature della situazione politica interna- oltre, chiaramente, ad esserne diventato in tutto e per tutto l’arbitro. L’ultimo atto poi, in termini di tempo ma non di importanza, del presidente Napolitano nei confronti della Casa Bianca , (da quest’ultima profondamente gradito e pubblicamente apprezzato), la grazia concessa pochi giorni prima della scadenza del settennato, al colonnello della NATO Joseph Romano condannato in via definitiva per il rapimento su suolo italiano dell’Imam Abu Omar, sospettato di terrorismo internazionale, nel 2005.
Dunque la soddisfazione espressa nel comunicato della Casa Bianca – uno dei primi ad arrivare dopo la conta dei voti -per la riconferma di “Re Giorgio” (come lo definì il New York Times in un profilo dedicatogli ai tempi della nomina del governo Monti)è tutt’altro che di prammatica. Lo si evince anche dal linguaggio della nota ufficiale, molto simile a quello usato accanto al famoso caminetto di Washington due mesi or sono, quando entrambi i presidenti pensavano fosse l’ultimo omaggio ufficiale di Obama alla sua controparte italiana prima dell’imminente e meritata pensione. Alle lodi per la leadership domestica e internazionale,nella nota dell’altro ieri Obama aggiunge “Ammiro la sua decisone di servire di nuovo il suo popolo e saluto la decisione del parlamento italiano di averlo scelto”. Poco importa se la scelta è avvenuta alla sesta votazione e dopo le peripezie, i balletti e le controversie che tutti, Obama compreso, conoscono.
“Il diavolo che si conosce è meglio di quello che non si conosce,” recita un vecchio detto americano. In questo caso poi Obama, la sua amministrazione, e soprattutto gli investitori di Wall Street, oltre a conoscerlo,il neo-rieletto presidente, lo stimano anche: non a caso, anche lo spread ha salutato il “Napolitano bis” scendendo ai minimi storici. Insomma, dopo due mesi di assoluta incertezza politica, su cui Washington si era guardata bene dal commentare ufficialmente, la storica rielezione del presidente italianoè la prima garanzia di continuità – senon altro per quanto riguarda l’interlocutore principale. E questo, nonostante nelle piazze italiane molti imprechino contro l’ “ancien regime” , per l’America di Obama è un bel passo in avanti.
Stefano Salimbeni