Onu, ora c'è un po' di Palestina

Con 138 si e soli 9 no, l'Assemblea Generale dell'Onu ha accolto la Palestina come "Stato osservatore non membro". Il senso di una scelta.

29/11/2012
L'esultanza dei giovani palestinesi a Ramallah dopo il voto dell'Onu (foto del servizio: Reuters).
L'esultanza dei giovani palestinesi a Ramallah dopo il voto dell'Onu (foto del servizio: Reuters).

E' senz'altro possibile sostenere, come fa il primo ministro israeliano Netanyahu, che nulla cambierà sul terreno, nella vita quotidiana dei popoli e delle persone. E' altrettanto plausibile credere, e noi siamo tra quelli che lo credono, che per la pace vera, duratura, occorrerà ben altro e che ben altri fattori (le bande terroristiche che fiancheggiano Hamas, per esempio; i finanziamenti che dal mondo arabo vanno a nutrire ogni sorta di estremismo, per farne un altro) dovranno essere disinnescati.


Quello che in nessun modo si può dire, però, è che la posizione di "Stato osservatore non membro" presso l'Onu, ottenuto ieri per la Palestina dall'Autorità nazionale palestinese con 138  sì, 9 no e 41 astenuti (e con l'approvazione della Santa Sede, che all'Onu ha lo status di osservatore permanente: "Accogliamo con favore la decisione dell'Assemblea Generale") sia un ostacolo o addirittura una minaccia alla pace. Ripeterlo è da un lato quasi ridicolo, dall'altro quasi scandaloso.

Il ridicolo sta, con evidenza, nei numeri. A opporsi a questo pur piccolissimo passo verso il riconoscimento della Palestina sono rimasti 9 Paesi: oltre ovviamente a Israele, gli Usa e poi Panama, Palau, Canada, Isole Marshall, Nauru, Repubblica Ceca e Micronesia. A dire invece sì, oltre ai prevedibili Russia e Cina, anche Italia, Francia e Spagna, Grecia e Irlanda. Astenuta la Germania come pure la Gran Bretagna, in politica estera di solito fedele alle scelte della Casa Bianca.


Il premier israeliano Netanyahu.
Il premier israeliano Netanyahu.

Insomma: piaccia o no, la stragrande maggioranza del mondo ha mandato al binomio Israele-Stati Uniti, ormai autosegregatisi in un ridotto poco comprensibile, un messaggio preciso. Che nei grandi numeri non è di ostilità allo Stato ebraico (anche se è chiaro che in quei 138 sì ci sono anche quelli di Paesi poco democratici e, per usare un eufemismo, poco inclini alla tolleranza reciproca), ma di stanchezza nei confronti di un problema che si trascina da decenni e che, lasciato alla iniziativa delle parti, non riesce a fare passi avanti. Il mondo è cambiato, le sensibilità sono cambiate, il Medio Oriente sta cambiando. Provino a cambiare anche israeliani e palestinesi. Con una aggiunta: il voto della Repubblica di Nauru, 9.378 abitanti su un'isola del Pacifico, ha la stessa dignità di tutti gli altri. Ma non può essere paragonato a quello di Paesi come l'Italia o la Francia, che in questi decenni hanno manifestato a Israele un chiaro e innegabile sostegno.

Tramutare questo voto dell'Assemblea Generale in una minaccia alle  prospettive di pace è invece scandaloso nella misura in cui paragona un'iniziativa politica come la richiesta palestinese accolta dall'Assemblea (discutibile fin che si vuole, ma indubbiamente legittima e comunque pacifica) alle minacce vere: dai missili di Hamas agli attentati kamikaze, alla politica degli insediamenti su terre che, in teoria, dovrebbero essere oggetto di quelle trattative che Netanyahu invoca, e dove già oggi vivono 600 mila israeliani. Non si può mettere tutto allo stesso livello. Nè cercare di convincere il mondo che tra Abu Mazen, e con lui gli abitanti di una Cisgiordania che più povera e debole non potrebbe essere, e gli armigeri di Hamas non corre alcuna differenza. Non si può anche perché, come i numeri del voto dimostrano, non c'è più nessuno che ci creda.

Detto questo, al netto del comprensibile esagerato entusiasmo dei palestinesi, occorre ribadire (e questo è un compito specifico dell'Europa) che anche per i palestinesi e per Abu Mazen nessun pasto è gratis. L'Autorità nazionale palestinese ha un deficit di trasparenza, efficienza e onestà che va assolutamente colmato. Così come devono sparire dai radar pasticci e ambiguità come quelli recenti alla ricerca di un accordo, peraltro regolarmente affondato, con Hamas. Non c'è strada fuori dal ripudio della violenza contro Israele e il suo popolo. E dunque non vi può essere intesa con chi, anche palestinese, non si rende conto di questa realtà. 

Fulvio Scaglione
Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

I vostri commenti

Commenta

Per poter scrivere un'opinione è necessario effettuare il login

Se non sei registrato clicca qui

Postato da Andrea Zilio il 30/11/2012 15:52

E' permesso? Troppe parentesi. Spezzano il filo del discorso. La sostanza delle sue tesi? La approvo in toto.

Postato da Andrea Annibale il 30/11/2012 11:41

E’ un’opportunità che di per sé non è né bene, né male e che non va sprecata. Dare voce ai palestinesi è giusto. Se useranno questa voce per spargere odio e guerra, la decisione dell’ONU si sarà rivelata ex post un errore. Se faranno passi avanti sulla strada della pace, si sarà trattato di una buona occasione per far tacere i fondamentalisti di tutte le parti. Si è scritto da parte di fonti autorevoli che i poveri non hanno, a volte, altra strada se non il terrorismo per farsi sentire. E’ una provocazione che, detto apertamente, non mi piace. Forse bisogna distinguere tra poveri e disperati. Non sempre il disperato è povero, non sempre il povero è disperato. Concordo ampiamente con l’articolo del dott. Fulvio Scaglione. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

tag canale

MODA
Le tendenze, lo stile, gli accessori e tutte le novità
FONDATORI
Le grandi personalità della Chiesa e le loro opere
CARA FAMIGLIA
La vostre testimonianze pubblicate in diretta
I NOSTRI SOLDI
I risparmi, gli investimenti e le notizie per l'economia famigliare
%A
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati