Quelle scelte poco provinciali

Il ministro Patroni Griffi ha osato fare ciò che nessuno osava:mettere ordine negli enti locali. Come per esempio unire Parma e Piacenza senza farne un ducato.

31/10/2012
I ministri Cancellieri e Patroni Griffi mostrano la nuova Italia delle Province.
I ministri Cancellieri e Patroni Griffi mostrano la nuova Italia delle Province.

Col nuovo ordinamento delle Province italiane, il ministro per Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi s’è guadagnato un posto sicuro nella storia patria. Da sempre, infatti, in questa piccola terra europea chiamata Italia, i confini territoriali hanno determinato gli eventi e le ere. E, come sempre accade in un Paese dalle gesta millenarie, anche le leggende. Come quella che vorrebbe il terzo re di Roma, Tullo Ostilio, scatenare una guerra - cui i Romani erano stati disabituati dal pacifico e pacifista predecessore Numa Pompilio – proprio per questioni di confine. Contro gli Albani, rei di spostare il “termine”, pietra che scandiva la fine del territorio degli uni e l’inizio di quello degli altri.



Gli Albani si comportavano… da provinciali, appunto: mettevano quella pietra, giorno dopo giorno, un po’ più in là, guadagnando a ufo terreno che i Romani s’erano assegnati in virtù del fatto che loro erano “cittadini” e gli altri “burini”, provinciali. Né le cose andarono meglio nel Medioevo, visto quanto Dante ci parla di divisioni e battaglie, potere e politica, complotti e spartizione di terre proprio in quella Toscana madre della lingua unificante la nazione intera, dalle Alpi al Lilibeo. Inevitabile, così, che l’Italia una ma pur sempre divisa, sia stata il Paese dei cento campanili, dove ogni metro di terra scandisce la “differenza” delle genti, sempre pronte a sconfinare dal suddetto campanile al campanilismo. Basterebbe pensare alle cinquecento sfumature d’accento e dialetto da un chilometro all’altro in quasi tutte le regioni.



Così, per arrivare all’Italia più moderna, i bambini dell’epoca del boom economico hanno imparato quali fossero i capoluoghi di provincia leggendo le targhe delle auto, più che studiando la temibile cartina muta delle scuole elementari. E imparavano, in auto con i genitori, che tutti quelli con la targa della città capoluogo di provincia più vicina erano – nei casi migliori – degli incapaci al volante. E sorvoliamo… per carità di patria, sui casi peggiori. Così, il campanilismo ha continuato a trionfare, e la Provincia, pur soffrendo l’istituzione delle Regioni, ha seguitato a fare leva sull’orgoglio d’appartenenza dei suoi abitanti. I primi segnali di cedimento arrivarono proprio dalle auto quando, esauriti i numeri a disposizione per targare i veicoli, si provvide a nuove scelte, dove la sigla della provincia sembrò sparire. Apriti cielo! Pianti, disperazione e lacrime; poi, il ravvedimento: la sigla non si tocca, è la firma autenticata di chi siamo e di dove siamo, perbacco! Neanche l’adeguamento delle targhe a regole continentali ce l’ha fatta a sminuire la presenza di quelle lettere così gloriose. Più piccole e di lato, ma sempre presenti!



Eppure, si sa, anche le più belle cose hanno un loro corso, e vuoi la crisi, vuoi i maneggi di politicanti che rischiano di lasciare i cittadini sul lastrico, vuoi la crescita d’importanza delle Regioni, vuoi che a qualche parlamentare non parve una cattiva idea quella di guadagnarsi imperitura memoria tra gli elettori proponendo (e ottenendo) come capoluoghi di provincia sedi nobilissime ma dall’odore di pastetta politica e amministrativa; insomma, alla fine, la decadenza dell’istituzione è stata pienamente raggiunta. Perché scoprire da bambini che Pistoia è in Toscana, Rovigo in Veneto e Benevento in Campania, è un bel gioco che nobilita i cento campanili. E passi pure aggiungere in un colpo solo Pordenone, Isernia e Oristano. Ma quando poi s’è arrivati ai giorni recenti con la nascita non più di una città capoluogo ma ben tre o anche quattro raggruppate o addirittura una generica zona geografica eletta a Provincia, beh, è chiaro che qualcosa non quadra più. Metterci le mani è sembrato un sacrilegio e chi ci ha provato ha sempre rinunciato: motivi politico-elettorali.



Quindi, anche stavolta, non poteva che toccare ai tecnici. Vai avanti tu, Patroni Griffi. Lui, Patroni Griffi, ci prova. Il risparmio è assicurato; c’è meno frammentazione che dovrebbe portare anche meno confusione. E però, però… A pensarci bene, ma davvero Pisa e Livorno si uniranno come promessi sposi? E Varese, Lecco e Como se la sentiranno di volersi bene addirittura in tre? Per non dire di Frosinone e Latina, dove le vecchie “guerre” a colpi di perfide battute su ciociari versus pontini e viceversa hanno cementato le differenze tra gli uni e gli altri neanche fossero peculiarità pregiate. E infatti, nelle ultime ore, alcuni Comuni si stanno organizzando per chiedere di passare ad altre provincie, pur di non convivere con un atavico “nemico”. Insomma, in un senso o nell’altro, Patroni Griffi passerà davvero alla Storia. Se non altro, perché è l’unico che sia riuscito a riunire Parma e Piacenza senza farne un ducato.

Manuel Gandin
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Postato da Rodolfo Vialba il 02/11/2012 19:50

Nonostante il Decreto Legge approvato prima dal Governo e poi dal Parlamento, e dunque già divenuto Legge dello Stato, nonostante le proposte presentate dalle Regioni al Governo, nonostante il Decreto Legge approvato dal Governo nella riunione del Consiglio dei Ministri dello scorso 31 ottobre, il tema delle Province continua ad essere al centro del dibattito politico. Infatti il primo Decreto Legge e le successive proposte delle Regioni sono stati accolti dalla politica con superficialità e disattenzione, diversamente dal Decreto del 31 ottobre che accorpa e quindi riduce le Province. Visto quanto sta succedendo, e cioè che nessuna Provincia sembra essere d’accordo con le decisioni assunte dal Governo fino al punto di ricorrere alla Corte Costituzionale, con tutte le conseguenze del caso ch, per assurdo, possono essere quelle dell’accorpamento prima, e dopo la sentenza della Corte dello scioglimento e del ritorno al vecchio modello organizzativo, resto convinto che la soluzione migliore, anche in considerazione dei compiti assegnati alle Province, sarebbe stata quella dello loro abolizione motivata non solo dalla semplificazione dei livelli istituzionali e di Governo, ma dalla loro sostanziale inutilità quale è dopo le modifiche al Titolo V, seconda Parte della Costituzione.

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