04/02/2012
Vladimir Putin. (copertina: Ria Bovosti/Reuters; questa foto: Konstantinov/Reuters)
Le due manifestazioni, una pro e una contro Vladimir Putin, che nelle scorse ore hanno portato decine di migliaia di russi per le strade di Mosca, sono paradossalmente figlie dello stesso periodo storico, quello appunto dominato dalla figura di Putin, primo ministro, poi presidente per otto anni, poi primo ministro per quattro e tra poco, cioè dopo il voto del 4 marzo, con ogni probabilità di nuovo presidente per sei anni.
Il Cremlino "occupato" da Putin e dai suoi fedelissimi ha garantito ai russi più stabilità politica, meno avventurismo economico, un benessere modesto ma in crescita. Un balsamo per una Russia che, prima con Gorbaciov e poi con Eltsin, era passata per un decennio di sconvolgimenti e sorprese poco piacevoli, e certo per un drammatico impoverimento collettivo.
Un miglioramento, però, che non è stato gratuito. I russi hanno dovuto piegare il capo sotto una crescente riduzione dei diritti civili e accettare un monito immutabile: vietato disturbare il manovratore. E vietato alzare il ciglio rispetto alle manovre dei suoi compagni, molto pronti a insediarsi non solo nel cuore dello Stato ma anche nel cuore del sistema economico e a trarne i dovuti vantaggi.
Che cos'è dunque cambiato? Che cosa ha portato in piazza una massa inedita di "indignados" dopo le elezioni politiche del 4 ottobre e la conclamata crisi di consenso di Russia Unita, il partito di Putin? Due cose. La crisi economica globale è in pratica coincisa con il mandato (2008-2012) di Putin quale primo ministro. Così, mentre la pressione sui diritti civili e la presa sull'apparato dello Stato rimaneva immutata, il Cremlino non riusciva più a distribuire vantaggi ai cittadini e, anzi, chiedeva loro sacrifici.
L'altra ragione è questa: in Russia si è ormai affacciata sulla scena pubblica una generazione che non ha vissuto in epoca sovietica ma, al contrario, ha approfittato (certo più di quella dei suoi genitori) della relativa fortuna economica dell'era Putin. Una generazione mentalmente più libera e meglio abituata. La più colpita, a ben vedere, dalla mancata realizzazione del patto sociale "più benessere per meno libertà".
Così, nelle piazze di Mosca, si sono incrociate due manifestazioni dello stesso disagio. Chi chiede il ritiro di Putin teme che la stagione del benessere sia finita e che occorra cambiare mano e stile, anche dando più libertà al sistema. Chi manifesta a favore di Putin teme che il rimedio sia peggiore del male.
Sullo sfondo, ignorato dai cittadini e non ben compreso, il vero, decisivo problema della Russia, il vero fallimento dell'era Putin: il Paese dipende ancora troppo dall'esportazione di materie prime, soprattutto gas e petrolio. Cioè, dipende ancora troppo dal benessere e dai consumi degli altri Paesi. La ristrutturazione economica non è mai davvero avvenuta e il potere putiniano ha preferito asserragliarsi nella trincea petrolifera, per ragioni geo-politiche anche comprensibili, piuttosto che aprire e modernizzare il sistema. E se Putin torna al Cremlino, come tutto fa prevedere, per altri sei anni si andrà avanti così.
Fulvio Scaglione