06/06/2011
L'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Al Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, la sconfitta della Moratti non è stata ancora digerita e c’è chi somatizza. Ci sarebbero i calmanti, i farmaci antiacidi, o almeno il bicarbonato. E invece si ricorre all’arcivescovo di Milano. Che c’entra il cardinale Tettamanzi con la vittoria di Pisapia? Niente. Ma serve un Nemico cui additare la colpa della disfatta e attenuare il bruciore di stomaco. Hanno applicato il giochetto persino col pastore di Milano, trasformato nel nuovo "Nemico della città", colpevole di aver predicato il Vangelo, l’integrazione e l’accoglienza, di aver raccolto tredici milioni di euro per cinquemila famiglie divorate dalla crisi e di non benedire i 500 sgomberi dei campi rom abusivi della giunta Moratti costati svariati milioni di euro. O magari manchevole di definire Pisapia l’Anticristo, come aveva fatto in campagna elettorale un giornalista illuminato di una devota testata di Centrodestra.
Quanto all’articolo di “grillo parlante” del Giornale contro l’arcivescovo ne trascriviamo l’incipit perché ogni commento sarebbe superfluo:
«In principio c’era Pisapia. Il verbo (rifondarolo) s’è fatto sindaco, gloria a Giuliano nell’alto di Milano e pace in terra agli uomini di buona volontà, soprattutto se votano Pd. La messa è finita, andate e predicate il vangelo della sinistra chic. Il cardinal Tettamanzi, ormai, fa le prediche così: sulle spalle il rosso cardinalizio, nel cuore il rosso politico. Più che parlare ai fedeli, sembra che parli all’Infedele. Manca solo Gad Lerner a reggergli il microfono».
Ora ricomponetevi sopraccigli e mascella, tirate un bel respiro e sentite come prosegue:
«Così succede quando si viene folgorati sulla via del politicamente corretto. E quando si sceglie come propria guida spirituale, non sant’Ambrogio o san Carlo, ma sant’Eugenio Scalfari: più che di seguire le indicazioni della Chiesa, si è attenti a seguire quelle di Repubblica. Risultato? Alla fine è inevitabile gettare la maschera, come ha fatto Tettamanzi l’altro giorno a San Siro, davanti a 50mila cresimandi. "La festa di Pisapia è l’inizio", ha detto, esaltando l’elezione del candidato di centrosinistra come una "primavera". Mancava solo l’immersione nel fonte battesimale della fascia tricolore e poi l’eresia sarebbe stata completa: "Io ti battezzo sindaco, nel nome del padre, del figlio e dell’antiberlusconismo". Amen. Andate e predicate il vangelo e i matrimoni gay”.
Naturalmente la lettura meriterebbe un sorriso di compatimento (come abbiamo sempre fatto con gli sgangherati attacchi che ogni tanto muovono contro Famiglia Cristiana i volenterosi articolisti delle testate berlusconiane e filo berlusconiane),
se non rimanesse l’indignazione per la mistificazione e lo stravolgimento della realtà perfino nei confronti di un pastore della Chiesa che parla a cinquantamila bambini. Bambini cresimandi per i quali l'arcivescovo ha tenuto il discorso "Capolavori di Dio, plasmati dallo Spirito" incentrato sul racconto evangelico del Buon Samaritano, come scrivono le cronache di chi a quell’incontro ha assistito.
Il giorno dopo ci si è messo anche il convertito Magdi Cristiano Allam, reduce dai successi della candidatura alle amministrative di Busto Arsizio (candidato sindaco con la sua lista “Io amo Busto Arsizio” ha preso 38 voti). Allam, a proposito del “raduno religioso di 50 mila cresimandi”, rivendica in un editoriale sul Giornale il diritto-dovere a «contestare l’asse Pisapia-Tettamanzi perché espressione di una concezione relativista della persona, della società, dell’identità e della fede».
Ora, definire "catto-relativista" il cardinale Tettamanzi (già segretario generale della Conferenza episcopale italiana, autore di un Dizionario di bioetica di 457 pagine e membro del Pontificio consiglio della Pastorale per gli operatori sanitari), dandogli lezioni di etica, potrebbe apparire un tantinello pretenzioso per chiunque, ma evidentemente non per Allam. Che infatti prosegue: «La vera differenza, usando un’allegoria più che mai pertinente, è che dell’esortazione evangelica "Ama il prossimo tuo così come ami te stesso", il tandem Pisapia-Tettamanzi fa propria solo la prima parte "Ama il prossimo tuo" anche a scapito dell’amore per se stessi, mentre il tandem Formigoni-Maroni l’accetta nella sua integralità mettendo sullo stesso piano l’amore per il prossimo e l’amore per se stessi. Ebbene io dico che è arrivato il momento di avere la lucidità e il coraggio di privilegiare l’amore per se stessi, l’amore per l’Italia e per gli italiani, perché diversamente non potremo donare amore al prossimo in modo responsabile e costruttivo».
La conclusione è che «è arrivato il momento di far primeggiare l’Italia degli italiani occupandoci di noi italiani prima di preoccuparci degli immigrati». Allam forse si fa prendere un po’ la mano e non si rende conto che se dovessimo dare seguito fino in fondo al suo raffinato ragionamento teologico il primo a fare le valigie dovrebbe essere lui, che è di origine egiziana.
La verità è che l’unica colpa dell’arcivescovo Tettamanzi, come ha scritto Giangiacomo Schiavi sul Corriere della sera, è che «la nuova Milano c’era già nei suoi discorsi, quando parlava di città dei cittadini, umiltà dell’ascolto, bisogno di umanità in una metropoli luminosa ma spesso confusa sulla sua identità.
E adesso che il potere si riflette in quegli appelli dal pulpito del Duomo, nei messaggi ripetuti sulla responsabilità di chi governa, sull’onestà da perseguire, sull’esempio da dare e sulla violenza verbale da mettere al bando, sembra quasi un obbligo dire che senza il cardinale Dionigi Tettamanzi non ci sarebbe stata la svolta di Milano». Questo sì, un incipit che sottoscriviamo. Non lo ha scritto un bollettino parrocchiale, lo ha scritto un grande giornale laico. Il resto è bruciore di stomaco: un attacco livoroso a un cardinale che si è sempre ispirato al Vangelo. Coraggio, volonterosi articolisti berlusconiani, fatevene una ragione, prima o poi l'acidità passerà.
Francesco Anfossi