22/09/2010
Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni.
La tentazione più forte fra i commentatori
è di assimilare le due crisi politiche a
cui l’Italia sta assistendo: quella del Pdl
e quella del Pd. Si tratterebbe di due aspri,
ma passeggeri confronti fra protagonisti delle
due parti: Berlusconi e Fini da un lato, Bersani
e Veltroni dall’altro. Detto così, tutto
sembra facile. Ai personalismi dei leader gli
italiani sono abituati, e sanno anche come
vengono in genere risolti: con patti sottobanco,
con divisioni di ruoli e di poltrone
per i rispettivi sostenitori, o con “ribaltoni”
prodromi di nuove difficoltà.
In realtà non è così. Delle due crisi, la più
grave e più importante per il sistema politico
è quella del Partito democratico. Qui non ci
sono sullo sfondo alloggi a Montecarlo o “legittimi
impedimenti” e “lodi Alfano” su cui litigare
bassamente; c’è un cambiamento profondo
nella situazione generale non solo del
Paese, ma in tutta l’Europa (per non parlare
degli Usa), e in particolare in quel mondo,
culturale prima ancora che politico, che da
un secolo e mezzo ruota intorno alla condizione
umana, dal punto di vista del “bene comune”
(così caro alla Chiesa dalla Rerum novarum
di Leone XIII fino alle encicliche sociali
di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto
XVI) e della “giustizia sociale”, da Marx, Proudhon,
John Stuart Mill fino all’altro ieri.
Tutto è cambiato. Un solo esempio: come
può oggi un partito che si definisce riformista,
progressista, genericamente “di sinistra”
(anche se contiene tradizioni diverse come
quella cattolica) promettere di “difendere il
lavoro”, quando proprio il lavoro ha cambiato
natura nel tempo della globalizzazione
(da noi nell’“era Marchionne”) e non deve
più fare riferimento in primo luogo ai lavoratori,
cioè alle persone, ma esclusivamente alla
produzione (con il sottinteso primato della
produttività); e le regole non le dettano
più Governi e Parlamenti, ma il mercato; e
non c’è più una classe operaia nel senso classico
del termine, ma tanti individui sottoposti
a una molteplicità di contratti, fra i quali
emerge il precariato?
In un libretto uscito pochi mesi dopo la
sua morte, L’economia giusta, Edmondo Berselli
annota: «È molto probabile che la nuova
sintesi debba fare i conti con un aumento
della povertà, o perlomeno con una condizione
generale della società in cui non sarà
possibile mantenere tutti gli istituti e gli
strumenti del Welfare». Lo profetizzò già papa
Wojtyla nella prefazione alla Laborem
exercens del 1981, lo ha scritto di recente Benedetto
XVI nella Caritas in veritate in cui richiama
la necessità di «un profondo rinnovamento
culturale e della riscoperta di valori di
fondo su cui costruire un mondo migliore».
Il Pd è pronto per un compito simile, al quale
si sente chiamato, senza poter fare affidamento
sulle passate tattiche e strategie? Questa
domanda è la vera origine dei suoi attuali
contrasti.
Beppe Del Colle