08/10/2012
La traslazione delle vittime della strage di Sant'Anna di Stazzema. In opertina: il monumento alle piccole vittime della strage.
Non ci sarà giustizia per i morti di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944. Per Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, per Anna, di appena 20 giorni, l’ultima nata nel paese, per Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle. Per don Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente. Nonostante gli ergastoli inflitti dal tribunale di La Spezia nel 2005 agli ex militari delle SS che ordinarono l'uccisione di 560 civili, la procura di Stoccarda ha deciso di archiviare il procedimento a loro carico che si stava svolgendo in Germania.
Il presidente Napolitano ha definito “sconcertanti” le motivazioni dell’archiviazione. Secondo la magistratura tedesca, “non ci sono prove sufficienti che il massacro fosse volto contro la popolazione civile, eseguito su comando e programmato già in anticipo”. La tesi è paradossale. A Sant’Anna di Stazzema (in provincia di Lucca), furono uccisi dai nazisti, supportati da alcuni collaborazionisti fascisti, 560 cittadini italiani, tra i quali molte donne e anziani e 107 bambini e ragazzi al di sotto dei 15 anni.
Quella di Sant'Anna di Stazzema è una delle stragi nazi-fasciste che compongono la nostra Via Crucis nazionale. Nel 1944, la Versilia costituiva il fronte occidentale della Linea Gotica che separava l’Italia liberata da quella occupata dai nazisti. La popolazione civile, secondo le disposizioni tedesche fatte proprie dai gerarchi fascisti provinciali, avrebbe dovuto evacuare l’intera area per spostarsi al di là dall’Appennino, in provincia di Parma. L’ordine impartito era assurdo e impraticabile, poiché era impossibile trasferire, senza mezzi di trasporto, una così consistente massa di persone, d’animali e di vettovagliamento. In ogni caso, la popolazione civile della Piana della Versilia doveva sottrarsi ai rischi della battaglia e sfollare in zone apparentemente più sicure. Fu così che il piccolo e nascosto paese di Sant’Anna di Stazzema, raggiungibile solo attraverso mulattiere, quadruplicò la propria popolazione, arrivando a 1500 abitanti.
A seguito di uno scontro sul vicino monte Ornato tra i partigiani della brigata Garibaldi e le truppe tedesche, il 5 agosto i tedeschi ordinarono lo sfollamento del paese; tuttavia, l’ordine venne annullato poco dopo, dietro l’assicurazione che a Sant’Anna non stazionavano partigiani. Apparentemente, la vita della popolazione sembrava tornare alla quotidianità, segnata soprattutto dal problema di come sfamarsi. Invece, all’alba del 12 agosto, reparti di SS circondarono il paese. Gli abitanti non pensavano ad una strage, ma piuttosto ad una normale operazione di rastrellamento: molti uomini scapparono nei boschi per sfuggire all’arruolamento. Lina Antonucci, che all’epoca aveva 9 anni e si salvò nascondendosi sotto i cadaveri dei parenti, ha poi raccontato: “Mi trovavo dalla nonna, mi presero, l’ero a letto, e ci misero per fila, e ci portarono in un posto detto la Vaccareccia. Buttaron via le mucche da un fondo e ci misero noi. Io ero per mano con la mia nonna; mio zio era scappato il mattino presto, perché, avevan detto, gli omini li prendano, e le bambine e le donne un gli fanno niente”.
Nel giro di poche ore, nei borghi del paese, alla Vaccareccia, alle Case, al Moco, al Pero, ai Coletti, i nazisti uccisero tutti, indistintamente. Gli sfollati e i paesani, i nonni, le madri, i figli e i nipoti, le persone e gli animali. E poi il fuoco, per distruggere i corpi, le case, le stalle, le masserizie. 140 persone, mezze vestite perché svegliate all’alba, furono giustiziate nella piazza della chiesa. Poi, sul mucchio dei corpi, ammassarono le panche della chiesa devastata, i materassi presi dalle case e appiccarono il fuoco. Sette bambini furono invece buttati nel forno del pane, acceso a fuoco lento. Intanto, scattava la caccia a chi aveva tentato di fuggire nei campi. Alcuni, che al passaggio dei tedeschi si erano nascosti in una caverna, vi furono bruciati dal getto di un lanciafiamme. Ad una donna, che correva disperata per salvare la figlia, strapparono dalle braccia la neonata, scagliandola in una scarpata e uccidendo lei stessa a colpi di rivoltella.
Don Giuseppe Vangelisti, parroco de La Culla, un paese vicino, arrivò a Sant’Anna il giorno successivo per seppellire i cadaveri: “La scena che maggiormente dava sgomento era quella della piazza della chiesa: una massa di cadaveri al centro, con la carne quasi ancora friggente; da una parte il corpo di un bimbo sui tre anni, tutto screpolato dal fuoco, con le braccia irrigidite e sollevate come per chiedere aiuto. Intorno, lo scenario delle case che mandavano ancora nell’aria bagliori e scoppiettii, e nell’aria il solito fetore di carne arrostita che levava quasi il respiro e che si espandeva in tutta la vallata”. Durante i momenti della sepoltura, don Giuseppe ricorda un episodio che commosse tutti: “Fra quei cadaveri, c’era una famiglia numerosa, quella di Antonio Tucci, un ufficiale di marina oriundo di Foligno, ma di stanza a Spezia, che con vari sfollamenti si era ritrovato quassù. La sua famiglia era composta da 8 figli (con età da pochi mesi fino a 15 anni) e la moglie. Mentre si stava apprestando la fossa, ecco arrivare il Tucci correndo e gridando come un forsennato, per buttarsi tra quel groviglio di cadaveri: “Anch’io con loro!”, urlava. Bisognò immobilizzarlo finché non si fu calmato. Rimase per qualche giorno come semipazzo”.
Stefano Pasta