Respingimenti, la Procura indaga

Rinviati a giudizio dalla procura di Siracusa il direttore generale per l'immigrazione del Viminale e un generale della Guardia di Finanza

22/04/2010
Il salvataggio di un barcone di immigrati
Il salvataggio di un barcone di immigrati

Quelle immagini fecero il giro del mondo. Gente seminuda accompagnata a terra da militari della Guardia di Finanza, mentre scendevano da una motovedetta con la bandiera italiana ancorata ad una banchina di un porto libico. Era l’agosto dell’anno scorso, quando buona parte dell’Italia si spellava le mani ad applaudire alla politica dei respingimenti. Al largo di Portopalo di Capo Passero in Sicilia era stata intercettata una barca con 75 immigrati. In poche ore vennero fatti salire a bordo della motovedetta della Finanza e portati in Libia.

   Ora la procura di Siracusa ha rinviato a giudizio il direttore generale per l’immigrazione del Ministero dell’Interno, Rodolfo Ronconi, e il generale delle Fiamme Gialle Vincenzo Cerrami. E ha prosciolto i  militari perché avevano obbedito a ordini superiori. Ma quegli ordini sarebbero per l'accusa coercitivi nei confronti degli immigrati, che una volta saliti su una nave italiana, che è territorio nazionale, non potevano più essere respinti, cioè riportati in Libia. Il reato è abuso di autorità e poi violenza privata. Gli immigrati in Libia non ci volevano tornare e una volta in territorio italiano quella volontà andava rispettata, perché le leggi del nostro Paese dicono che gli immigrati devono potersi avvalere delle nostre leggi, specialmente di quelle in materia di immigrazione. Invece le autorità italiane si sono comportate come gli sceriffi “in aperto contrasto con le norme di diritto interno e di diritto internazionale recepite dal nostro ordinamento”.

Dovevano insomma verificare l’identità degli immigrati, verificare se erano minori, ascoltare le loro storie, chiedere se intendevano avvalersi del diritto di asilo, cioè tutelarli nei loro diritti ed eventualmente nel loro status di rifugiati. Non lo hanno fatto. Erano i giorni del delirio anti-immigrazione, giorni bui per un Paese che ha spalmato paura tra i suoi cittadini, che ha confuso integrazione con sicurezza, che ha dimenticato di essere stato un Paese di emigranti. L’operazione della Guardia di Finanza è risultata un monito per molti immigrati: se venite e se state male in mare noi vi imbarchiamo e vi riportiamo in Libia nei lager di Gheddafi. Fine di ogni legalità, sospensione del diritto e la legge sull’immigrazione, pur pessima, ridotta a carta straccia.

La decisione della Procura di Siracusa non mette sotto accusa la politica dei respingimenti, né si occupa delle legittimità degli accordi sciagurati con Gheddafi. No. Dice tuttavia una cosa ben più grave: che riportare indietro immigrati senza dare a loro le garanzie previste dal nostro ordinamento è una condotta violenta, perché si calpestano le regole della nostra democrazia. C’è un insegnamento da trarre: le leggi valgono per migliorare la qualità della vita e della convivenza. Quel giorno sul mare invece lo Stato ha mostrato il suo volto più cattivo. E oggi lo Stato ha deciso di riparare all’errore.

 

Alberto Bobbio
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