Ricordo di Erba, il tramviere metafisico

Il grande poeta e critico milanese, autore di "Il male minore", è scomparso a 87 anni. Cercava nella piccole cose della vita quotidiana il senso ultimo dell'esistenza.

04/08/2010
Luciano Erba, poeta e critico, è scomparso a Milano a 87 anni.
Luciano Erba, poeta e critico, è scomparso a Milano a 87 anni.

Basta aprire una qualunque antologia della poesia novecentesca per rendersi conto di quale sia l’importanza e, se si vuole, il mistero dell’opera di Luciano Erba, scomparso nella sua Milano la sera del 3 agosto a 87 anni.

Nato nel settembre 1922, questo lombardo raffinato e smaliziato ha segnato con un’opera parsimoniosa e resistente tutta la seconda metà del secolo. E infatti le antologie, di qualunque gusto e orientamento, anche quelle apparentemente più lontane dal suo tipo di personalità, gli hanno fatto posto, soggiacendo a una certa sottile fascinazione che emana dal suo dettato in versi. A prima vista, i suoi testi trattano di piccole cose: aneddoti, nomi, oggetti, capi di vestiario, vite «minori» (e Il male minore si intitola la raccolta a lungo complessiva edita nel 1960 da Mondadori); il fatto è che nel trattare questa materia lombardamente concreta, minuta, Erba sapeva far risaltare con paziente cura artigianale un senso di pervasivo mistero.

Che cosa veramente significavano tutti quegli accidenti, quei nomi, quei minuti episodi, sempre tramati alla luce di una tradizione poetica secolare e non solo italiana (come professore e traduttore Erba è stato un sopraffino francesista)? Quelle quasi fiamminghe miniature piene di particolari alludevano con energia e insieme con pudore a domande sempre irrisolte, a inquisizioni, a punti di fuga metafisici. Solo che per Erba la metafisica era portare al suo massimo grado di tensione e, appunto, di interrogazione l’al di qua. Nelle raccolte più tarde, da Il tramviere metafisico (1987) a Remi in barca (2006), il dato è evidente; ma basta rileggersi la bellissima Lo svagato, già accolta nel Male minore, per comprendere che egli da sempre andava covando una sua febbre appunto metafisica.
 
Così, dopo aver parlato di misteriosi compagni perduti, si concludeva quella poesia, tesa tra Rimbaud e Montale: «Né so se torneranno, né quando, né come / gli amici, i giorni, la più chiara stagione, / se tornerà la vita / perduta per disattenzione».  

Daniele Piccini
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