20/11/2012
E’ un lieto fine, il primo nella storia del Pakistan, in processi a persone accusate di “blasfemia”: Rimsha Masih, 14 anni appena, la piccola cristiana disabile mentale arrestata con l’accusa di aver bruciato pagine con versi del Corano e poi rilasciata su cauzione, è stata assolta dall’Alta Corte di Islamabad. In un sentenza di 15 pagine, il tribunale ha prosciolto Rimsha dalle accuse, dichiarando la nullità della denuncia (First Information Report) a suo carico. La Corte ha stabilito che le accuse sono false e le prove costruite artificialmente dall’imam Hafiz Mohammed Khalid Jadoon, l’uomo che aveva denunciato per blasfemia Rimsha [ne abbiamo parlato QUI]
Palpabile la soddisfazione nella pattuglia di avvocati che ha difeso Rimsha, guidata dal musulmano Rana Hamid: si tratta di un passo storico per il paese, come ripetono da ogni parte gli osservatori, in quanto mai nella storia un procedimento per blasfemia si era concluso con tale esito. Il verdetto mette in luce con chiarezza come la controversa legge – i due articoli 295b e 295c del Codice Penale, che puniscono il vilipendio al Corano e al Profeta Maometto – venga strumentalizzata per scopi personali e per vendette private, sfruttando false testimonianze.
Asia Bibi. Foto Reuters.
La sentenza, afferma Paul Bhatti, Consigliere speciale del Primo Ministro per l’Armonia, costituirà un precedente giuridico utile per i processi di blasfemia ancora pendenti nei tribunali, su tutto il territorio nazionale. Ed è un verdetto che Bhatti – come ha dichiarato all’Agenzia Fides – dedica a suo fratello Shahbaz, il ministro cattolico per le minoranze ucciso il 2 marzo 2011 a Islamabad, proprio perché si era impegnato con tutte le forze per sostenere l’innocenza di Asia Bibi, un’altra donna presunta blasfema e condannata a morte, tuttora in carcere a Sheikhupura [ potete leggere QUI la sua storia].
Secondo Bhatti, la sentenza e lancia due messaggi chiari al paese: “Il primo è che si può avere fiducia nel sistema giudiziario pakistano e credere nel rispetto della legalità. Il secondo è per quanti hanno abusato della legge sulla blasfemia per scopi personali: d’ora in poi ogni abuso verrà punito, e si eviteranno tante vittime innocenti”.
Manifestazioni in Pakistan contro la legge sulla blasfemia. Foto Reuters.
C’è stato una carta vincente nella strategia che ha portato all’assoluzione di Rimsha: l’aver conquistato il sostengo popolare nella società pakistana, leader islamici compresi. Nel caso di Rimsha i cristiani non hanno voluto organizzare manifestazioni anti-blasfemia, ma hanno scelto di seguire solo la via giudiziaria. Cortei e manifestazioni, in passato, hanno sollevato la reazione dei gruppi islamici radicali e, come nel caso di Asia Bibi, una vicenda giudiziaria si è ben presto colorata di fede e mascherata da “conflitto fra religioni”, alzando steccati e producendo fazioni contrapposte. Per Rimsha, invece, si è registrato l’appoggio di numerosi leader islamici, rivelatosi molto importante per l’esito finale, apprezzato da tutta l’opinione pubblica.
Anzi, la tragica vicenda di una minorenne cristiana, vittima innocente di false accuse, sembra aver generato ripercussioni sorprendentemente positive. P. Yousaf Emmanuel, Direttore della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale del Pakistan, ha spiegato il paradosso: “Il caso Rimsha – ha detto ancora alla Fides – ha di fatto rafforzato il dialogo interreligioso in Pakistan. In tutte le sedi, in ogni incontro, in ogni dibattito, cristiani e musulmani si sono ritrovati dalla stessa parte, in sintonia a difendere gli stessi valori di civiltà, verità, legalità e giustizia. Hanno condannato insieme gli abusi della legge sulla blasfemia che, va ribadito, oggi colpiscono per la maggioranza cittadini musulmani. Questo caso ha aumentato l’armonia interreligiosa e servirà di esempio sul giusto approccio da seguire per risolvere tutti gli altri problemi che la nazione affronta”.
La Commissione presieduta da p. Emmanuel monitora tutti i casi di blasfemia in Pakistan e ha diffuso i dati aggiornati: nel 2011 sono state incriminate per “blasfemia” 61 persone e 9 uccise in esecuzioni extragiudiziali. Fra il 1986 (anno in cui è entrata in vigore la legge) e il 2010, sono 1.081 gli imputati di blasfemia: fra loro 138 cristiani, 468 musulmani, 454 ahmadi, 21 indù.
Il doloroso caso di Rimsha, che vive ancora con la sua famiglia in una località segreta, ha aperto una breccia nel muro che finora aveva spaccato in due il Pakistan, fra favorevoli e contrari alla controversa normativa. La proposta che viene ora dalla “All Pakistan Minorities Alliance”, Ong guidata dal cattolico Paul Bhatti, è formare una “Commissione mista”, con leader cristiani, esperti, avvocati e leader musulmani che possa esaminare in via preventiva i casi di supposta blasfemia. Il tutto per evitare nuovi “casi Rimsha”, in cui innocenti abbiano la vita rovinata da false accuse.
Intanto per Rimsha c’è tuttora il peso di un’incognita. L’avvocato dell’accusa, Rao Abdur Raheem, si è detto pronto a ricorre alla Corte suprema. Ma in Pakistan oggi ben pochi irriducibili gli credono.
Paolo Affatato