07/10/2012
Interno di un supermercato (ansa)
Anche la Chiesa cattolica appoggia l'iniziativa di protesta contro il lavoro festivo. L'iniziativa, nata in rete con il gruppo facebook “Domenica no grazie”, ha portato in piazza, oggi, le commesse e i commessi di tutta Italia, con le loro famiglie e i loro amici.
Costrette – e costretti – a stare dietro le casse dei supermercati, nei negozi e nelle boutique di mezza Italia non ce la fanno più a rinunciare a ritrovarsi con i figli e le persone care nei giorni di festa. «A volte capita di non avere un giorno libero per due settimane di fila», spiegano, «e in busta paga, per questa rinuncia, ci ritroviamo appena 15 euro in più».
In attesa del pronunciamento della Consulta, cui si sono rivolti Veneto, Piemonte, Lombardia e Lazio, la protesta attraverso lo Stivale. Le Regioni lamentano che la liberalizzazione limiti il diritto degli enti locali di regolare il settore del commercio e chiedono che sia bocciata per incostituzionalità.
Monsignor Giancarlo Bregantini.
«La Chiesa appoggia queste iniziative, come abbiamo detto anche nell’ultimo consiglio permanente della Cei», dice monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro. «Parliamo tanto di famiglia, ma se i ritmi di lavoro impediscono alle persone di ritrovarsi almeno un giorno alla settimana, indeboliamo la famiglia stessa. Ci deve essere la possibilità di ritrovarsi, di comunicare tra loro, di organizzare qualcosa insieme, di sedersi alla stessa tavola». Inoltre, aggiunge il vescovo, «questo sacrificio non è giustificato neppure dal punto di vista economico. Studi di settore dimostrano che i negozi che restano aperti la domenica non vanno meglio degli altri. E anche chi fa i turni nei giorni di festa, non si ritrova poi in busta paga, un compenso adeguato».
Assieme alle liberalizzazioni, dicono quanti protestano oggi, sarebbero dovuti arrivare nuovi posti di lavoro, ma la manodopera in negozi e ipermercati non è aumentata.
«Ma il valore di questa protesta non è solo economico», sottolinea don Gianni Fazzini,sacerdote della diocesi di Venezia, «la domenica deve restare un giorno dedicato ai rapporti umani, da non trascorrere nei centri commerciali, luoghi che io paragono all'inferno».
A Treviso, da dove è partita la protesta, la marcia delle commesse si snoda lungo le vie del centro ma nelle altre città (Modena, Padova, Benevento e Firenze) saranno occupati i parcheggi davanti ai grandi centri commerciali. Al fianco dei lavoratori anche molti piccoli esercenti, stritolati dalla concorrenza degli ipermercati.
A Roma Federstrade-Confesercenti ha raccolto in un libro bianco a cura della presidente Mina Giannandrea, le testimonianze di quanti faticano a restare aperti la domenica. «Per la Prima Comunione di mia figlia ho dovuto chiudere il negozio per “inventario"», scrive un commerciante di Via Frattina. «Negli ultimi cinque anni, dovendo “seguire” gli orari delle aperture domenicali, ci è letteralmente impossibile seguire la nostra terza figlia di 12 anni», aggiunge un'altra coppia di commercianri. Appoggiando le parole di Benedetto XVI a Milano in occasione dell’incontro mondiale delle famiglie, Mina Giannandrea sottolinea: «Penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo».
Alla campagna “romana” per la chiusura domenicale hanno aderito anche i commercianti ebrei. L’associazione dei commercianti di via dei Giubbonari ribadisce: «Da molti anni ci battiamo per l’osservanza delle festività religiose e laiche. Molti di noi, pur essendo di religione ebraica, vorrebbero che anche i loro collaboratori cattolici possano osservare scrupolosamente tutte le feste domenicali».
E mentre la Cei sta decidendo quali iniziative mettere in campo per sostenere la richiesta, i commercianti rinnovano l'invocazione di aiuto: «Facciamo appello alla Chiesa, perché sostenga questa nostra richiesta, per poter recuperare i nostri valori affettivi e morali».
Annachiara Valle