08/05/2012
Umberto Bossi e Roberto Maroni.
Sarà in grado Super Flavio Tosi di salvare il Carroccio dalla
crisi in cui è precipitato e che oltretutto potrebbe trasformarsi in un'implosione? Roberto Maroni, l’ex ministro degli Interni del
Governo Berlusconi, l’uomo che sta cercando di traghettare la Lega fuori dalla
palude degli scandali, ne è sicuro. E’ Tosi, il “gancio in mezzo al cielo”. Nella Caporetto lombarda, quel 50 e passa per cento che l'ha catapulttao per la seconda volta sulla poltrona di sindaco della cità scaligera brilla come una stella.
Strano destino quello del sindaco di Verona. Da
leghista eretico (ha rischiato almeno tre volte l’espulsione), sgradito al
fondatore della Lega Umberto Bossi, che voleva appenderlo nella galleria dei
ritratti del passato insieme alla Pivetti, a Miglio e a un’infinità di altri fuoriusciti, è diventato un modello per il futuro. Maroni, che è sempre stato un
suo supporter, lo cita di continuo nel quartier generale di via Bellerio. Meno
male che c'è Super Flavio. Altrimenti rimarrebbero solo le sconfitte in tutta la
Brianza, compresa Monza (dove avevano sistemato, in un sottoscala di Villa
Reale, i ministeri posticci della Lega), nella Bergamasca (a cominciare dal borgo di
Calderoli), nel Varesotto dove il Carroccio è nato, finanche nel paese natio di Bossi,
Cassano Magnago, dove la Lega ha preso una bagnata mica da ridere. Persino
Sarego, tra le colline e le vigne del vicentino, dove sorgeva il Parlamento
Padano, una vecchia villa palladiana presa in affitto, è finito in mano ai
grillini.
Ma Verona no. Nella città di Giulietta e Romeo, dice Maroni più innamorato della donzella dei Capuleti, come se
parlasse dal famoso balcone, "Tosi ha
anticipato lo sfaldamento del berlusconismo". Maroni vorrebbe affidargli un ruolo politico nazionale nella Lega, da affiancare a quello di sindaco. Perché è stato lui, correndo da solo
insieme ad alcune liste civiche, a precorrere la “fase nuova”. Come sarà questa fase nuova non si sa. Anche perché, paradossalmente, Tosi dal punto di vista politico potrebbe essere più problema
che un vantaggio. Innanzitutto è un leader della Liga Veneta, quella Liga
agguerrita e orgogliosamente autonomista che Bossi ha sempre domato a suon di
purghe, di Padania, riti celtici e
ampolline fluviali. E ora? La verità è
che, soprattutto dopo la sconfitta di domenica, i rapporti di forza sono
cambiati irrimediabilmente: ora è il Veneto ad avere un peso politico
preponderante sulla Lega Lombarda. I veneti lo sanno e lo faranno pesare, a
cominciare dal presidente della Regione veneto Zaia, sfruttando anche il vuoto
di potere seguito alle dimissioni di Umberto Bossi.
Il sindaco di Verona,
definito un “leghista democristiano”, è uno dei pesi di questa bilancia che
pende a favore di Venezia. Potrebbe fomentare le divisioni, alimentare la voglia di riscatto, contribuire, magari
suo malgrado, a una “secessione” all’interno della Padania tra Lega Lombarda e Liga Veneta. Inoltre Tosi fa parte di quel “partito dei
sindaci” che ha contribuito ad
amministrare molto bene tante città, quel partito da cui Maroni sta
cercando di ripartire per dimenticare lingotti, diamanti e lauree
albanesi. Tosi può permettersi di dire
apertamente che la ricandidatura di Bossi alla guida della Lega non è
opportuna. Cosa che Maroni non può fare per il suo ruolo e per l’antico legame
con Umberto Bossi. Il quale, nonostante gli acciacchi politici, il cerchio
magico spezzato, i lingotti, gli autisti bancomat, i guai di famiglia e le
inchieste giudiziarie, non resterà a guardare. La Lega resta pur sempre un partito diviso anche al suo interno, come i Capuleti e i Montecchi. E i bossiani, che nella Lega
sono tanti, son lì ad aspettare la prossima mossa, il nuoco colpo d'ala di di Bossi Umberto, fondatore e segretario per vent'anni della Lega Nord.
Francesco Anfossi