Sakineh, l'incubo continua

La donna iraniana, condannata alla pena di morte nel 2007, è stata riportata a casa per un sopralluogo. Intanto, la pratica della lapidazione continua in molte parti del mondo.

10/12/2010
Sakineh Mohammadi Ashtiani, 43 anni.
Sakineh Mohammadi Ashtiani, 43 anni.

L'euforia è durata poco. Giusto il tempo perché il canale iraniano in lingia inglese, Press Tv, precisasse che Sakineh Mohammadi Ashtiani, 43 anni, la donna condannata nel 2006 a 99 frustate per adulterio, nel 2007 alla morte per lapidazione per adulterio e complicità nell’assassinio del marito e da allora detenuta in carcere, era tornata nella sua città (Tabriz) e nella sua casa non perché finalmente libera ma solo per l'ennesimo sopralluogo. Un segnale difficile da interpretare: nel mcomplesos sistema giudiziario iraniano, strettamente dipendente dalle autorità politico-religiose, potrebbe rappresentare una concessione alla campagna internazionale per la liberazione della donna come pure un inasprimento del suo caso. Il sopralluogo, infatti, è nstato deciso anche per realizzare una trasmissione televisiva sulla sua vicenda.

    Dovrebbero invece aver ritrovato la libertà suo figlio Sajjad Qaderzadeh e l’avvocato Javid Hutan Kian, oltre a due giornalisti tedeschi ch’erano stati arrestati il 10 ottobre di quest’anno per averli intervistati.

     La speranza, naturalmente, è che l'Iran, dopo mesi di mobilitazione internazionale, si dimostri non insensibile né invulnerabile alle pressioni esterne. Un caso, questo, che in qualche misura ricorda quello della cristiana pakistana Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia e "salvata" proprio dalla campagna internazionale animata, per l'Italia, da Asia News.

 

     Anche se il “caso Sakineh” dovesse dimostrarsi in effetti risolto, però, altrettanto non si può dire per la pratica della lapidazione, tornata in vigore in molti Paesi: oltre all’Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Nigeria, Pakistan, Sudan, Yemen, Somalia e Afghanistan. L’unico ad averla applicata con una certa regolarità e frequenza, però, è stato proprio l’Iran. Amnesty International ha più volte denunciato che le autorità di Teheran, pur avendo dichiarato una moratoria alla lapidazione nel 2002, hanno poi consentito l’esecuzione di almeno 4 persone. Altre 11 persone (3 uomini e 8 donne, tra le quali fino a ieri anche Sakineh) attendono l’esecuzione capitale per lapidazione nel braccio della morte delle carceri iraniane.

     In Afghanistan una coppia di giovani fidanzati è stata messa a morte per lapidazione, nel Nord del Paese, nell’agosto del 2010. Notizie di pali dazioni sono arrivate anche dalla Somalia (dove la situazione generale impedisce, però, un censimento preciso) e dal Pakistan.

     Il caso più clamoroso, però, è forse quello della provincia di Aceh in Indonesia: lì la pena di morte per lapidazione è stata reintrodotta addirittura nel 2009. In Nigeriala lapidazione è stata recuperata come misura punitiva negli Stati del Nord con l’introduzione della shari’ah, la legge islamica. Nel 2002 la Nigeria è finita sotto osservazione per due casi. Il primo, e più famoso, riguardava Amina Lawal Kurami, condannata per adulterio. Anche nel suo caso la campagna internazionale portò a una revisione della condanna. Nello stesso anno, però, fu condannato a morte per lapidazione anche un uomo nigeriano, Yunusa Rafin Chiyawa, che aveva confessato di aver avuto rapporti sessuali con la moglie di un amico. Yunusa è ancora in carcere e la condanna non è stata revocata.

    Anche in Iraq è stato segnalato almeno un caso di lapidazione. Una ragazza di 22 anni è stata messa a morte ad Al Qaim, un piccolo centro al confine con la Siria.

 

Fulvio Scaglione
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