04/11/2011
“Se su Genova si abbattessero i 40 centimetri di pioggia che sono caduti su Vernazza, in molte zone della città si correrebbero rischi analoghi”, aveva detto l'altro ieri Andrea Agostini, presidente del circolo genovese di Legambiente. E dalla mezzanotte erano già caduti tra i 40 e i 50 centimetri e la pioggia non cessava e non cessa ancora.
Anche a Genova sono state autorizzate cementificazioni in zone fragili del territorio. Il rappresentante di Legambiente in una lunga intervista al Corriere Mercantile elencava prima della tragedia di oggi (perché dopo sono capaci tutti a parlare) i punti critici e le ragioni. Un esempio: “Con la realizzazione delle strade di sponda, gli argini del Polcevera sono stati cementificati e, quando piove, questo aumenta la velocità di scorrimento dell’acqua e, di conseguenza, la potenza del suo impatto. Nella stessa valle hanno autorizzato la costruzione di capannoni industriali e di palazzi lungo il Secca che su un lato non ha protezioni”.
Cemento, ma anche incuria perché gli ambientalisti si domandano come mai a monte del Branega non siano ancora stati rimossi molti tronchi di alberi bruciati dopo l’ultimo incendio e pronti a finire nel torrente, un “effetto tappo” che si riscontra anche in altri punti della complessa orografia ligure. “A Sestri la situazione è anche peggiorata rispetto all’alluvione che un anno fa aveva mandato a bagno delle aziende, perché si è continuato a costruire e, quindi, a impermeabilizzare il terreno e non mi risulta che si sia fatto nulla per evitare il rischio di un’altra alluvione”.
A Ponente come a Levante, si sprecano gli esempi di cementificazioni, muri pericolanti e argini dissestati. Le poche aree verdi vengono ricoperte di cemento per realizzare parcheggi e capannoni e l'acqua che cade non trova il terreno ad assorbirla e corre giù come una furia. “Prima di autorizzare nuovi interventi di cementificazione un pubblico ufficiale dovrebbe valutare quali possono essere le conseguenze e avere anche una garanzia di manutenzione, perché non basta che il tubo sia abbastanza largo, se poi nessuno si occupa di tenerlo pulito. In una regione così fragile e che ha già pagato un alto prezzo alle cementificazioni, è ora che le amministrazioni pubbliche modifichino radicalmente la politica del territorio”, commentava ancora Agostini prima del disastro di oggi.
Di tragedia annunciata causata da una colata di interventi edilizi autorizzati in aree a rischio che invece andrebbero liberate con i dovuti abbattimenti parla anche il Wwf. “La Liguria rappresenta un caso esemplare della miopia istituzionale sull’attività di prevenzione e tutela del territorio. Proprio qualche mese fa, infatti, la Regione Liguria ha approvato un provvedimento (Regolamento regionale n.3/2011, pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Liguria del 20 luglio 2011) che ha ridotto da 10 a 3 metri le distanze minime di edificazione vicino ai corsi d’acqua.”
Sui fiumi in particolare, infatti, si continua ad intervenire d’urgenza, in modo localizzato e puntiforme, al di fuori di una visione d’insieme, restringendo le aree di esondazione naturale e canalizzando i fiumi, contribuendo così ad aumentare il rischio di alluvioni a valle. La Liguria è, naturalmente, in buona compagnia: a causa di questo vuoto di pianificazione, dall’estate 2010 alla primavera 2011 ben 13 regioni italiane hanno chiesto lo stato di calamità naturale per dissesto idrogeologico.
Gabriele Salari