Sarajevo, città del dialogo

Nella città che fu teatro di un conflitto moderno che causò oltre diecimila mortio la Sant'Egidio promuove l'incontro interreligioso

17/09/2012
Il ministro Andrea Riccardi parla al meeting di Sarajevo della Sant'Egidio.
Il ministro Andrea Riccardi parla al meeting di Sarajevo della Sant'Egidio.

“Sarajevo, io ti dico oggi: Coraggio! Coraggio! Impara di nuovo a vivere insieme!”, è il grido commosso che il cardinal Etchegaray, 90 anni, rivolge alla capitale bosniaca nella cerimonia finale dell’incontro “Living Together is the future” (9-11 settembre), promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Parla agli abitanti della città ferita dal più lungo assedio della storia europea (1992-95), a nome dei capi religiosi che da tutto il mondo si sono riuniti per affermare: “Siamo diversi. Ma la nostra unanime convinzione è questa: vivere insieme tra gente diversa è possibile in ogni parte del mondo, è molto fecondo”.

L’incontro continua la tradizione avviata nel 1986, quando – ricorda l’anziano cardinale – “Giovanni Paolo II, un Papa audace, ha fatto discendere dalla città di San Francesco, il Poverello, lo ‘Spirito di Assisi’, uno Spirito di preghiera e di riconciliazione”, che la Comunità di Sant’Egidio ha da allora portato in molte città del mondo. Ma il ricordo di Etchegaray va anche ai giorni dell’assedio della capitale bosniaca, quando, per portare il saluto e il sostegno di Giovanni Paolo II, entrò in città scendendo dal monte Igman e percorrendo il tunnel sotterraneo, lungo 800 metri e largo uno e mezzo, allora l’unica via che collegava la città all’esterno. A Sarajevo, dai tempi della guerra, le tre giornate di preghiera per la pace sono state la prima occasione in cui tutte le parti religiose presenti in Bosnia si sono ritrovate per un evento comune. Sono state promosse da tutte le comunità della città: la Comunità Islamica, il Patriarcato Serbo ortodosso, l'Arcidiocesi cattolica e la Comunità Ebraica.

Uomini e donne dalle provenienze religiose più diverse hanno dialogato al di là delle storiche divisioni. Le identità non si sono confuse, ma c’è stata unità profonda nell’anelito di pace che è alla radice di ciascuna religione. Perché “la pace è il nome di Dio”. Mentre “la guerra è la madre di tutte le povertà”. Lo riassume Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio: “Parliamo con una sola voce, nonostante le diverse religioni e storie. E’ una voce che viene dal profondo delle tradizioni religiose: ha fondamenti e alfabeti differenti, ma si fonde in un grido di pace. Il dialogo tra le religioni è un’indicazione efficace per la cultura, la politica, i rapporti tra i popoli. Guardiamo al futuro senza paura! Ma prepariamo il futuro nella simpatia tra i popoli. Guardiamo al futuro senza lasciarci paralizzare dalle paure del passato!”. Lo dice nell’anniversario dell’11 settembre 2001, quando sembrò che un conflitto di religione fosse alle porte.

Del resto, spiegava Osama bin Laden in uno dei suoi proclami aggressivi: “Loro vogliono il dialogo, noi la morte”. “Living together”, “vivere insieme” è il titolo dell’incontro interreligioso. Infatti, la storia di Sarajevo, la città della convivenza e del fallimento della convivenza, è un monito, è la sfida che è oggi posta di fronte a ogni città. Come essere città di pace? È la domanda che, intervenendo alla cerimonia finale, pone anche Rita Prigmore, sinta tedesca, con una gemella morta per gli esperimenti di Mengele e molti parenti uccisi nei lager della Seconda guerra mondiale, quando ricorda l’ostilità aggressiva verso rom e sinti ancora presente nelle città europee. “Oggi si raccolgono le voci della sofferenza del mondo. Queste voci diventano grido, chiamata, che deve essere ascoltata: cambia il tuo cuore, apriti al prossimo che ancora non conosci, che ti sembra straniero ed impara a conoscerlo e a costruire insieme un futuro nuovo”. È il senso dell’Appello di pace 2012 sottoscritto da tutti i capi religiosi al termine dell’incontro.

Si dice: “In questi giorni a Sarajevo abbiamo vissuto la grazia del dialogo e visto come costruire il futuro. Oggi, in un tempo di crisi economica, è forte la tentazione di ripiegarsi, anzi di incolpare gli altri popoli dei propri problemi, quelli del passato o del presente. Così un popolo diventa per l’altro straniero o nemico. Si sviluppano pericolose culture del risentimento, dell’odio, della paura. Ma nessun popolo è nemico: tutti hanno sofferto, tutti hanno un’anima buona! Tutti possono vivere insieme! Il vicino non deve trovarsi a lottare con il vicino perché appartiene a un’altra religione o a un’altra etnia. Mai più in questa terra! Mai più in nessuna parte del mondo!” (http://www.santegidio.org/pageID/2461/SARAJEVO_2012.htm)         

Stefano Pasta
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