11/02/2011
Uno spettacolo del Napoli teatro festival in una ex birreria, uno dei tanti spazi restituiti alla città.
A Napoli si sta consumando l'ennesima sceneggiata, con il rischio, però, che questa volta ci sia molto da piangere e nulla da ridere. Due sono le realtà che hanno fatto parlare della città negli ultimi tempi: i rifiuti - la cui scomparsa dalle strade viene annunciata in continuazione e mai realizzata - e il Napoli teatro festival. Se la prima ha offerto al mondo un'immagine devastante, la seconda ha invece dato lustro e suscitato ammirazione, diventandone un vanto.
Nato appena tre anni fa, il festival, sotto la direzione artistica di Renato Quaglia, si è guadagnato in fretta un posto centrale nel panorama europeo, al punto da meritarsi paragoni con i celebrati "gemelli" di Avignone ed Edimburgo. I numeri parlano chiaro: l'ultima edizione, quella del 2010, ha registrato la bellezza di 108 mila spettatori (un dato in forte e costante crescita: erano 60 mila nel 2009 e 45 mila nel 2008); 25 i Paesi coinvolti per un totale di 94 spettacoli ospitati nell'arco di un mese; 38 spazi all'aperto recuperati per il festival, senza contare i 16 teatri già esistenti e altre location sotterranee... Ma quel che più conta è il risultato culturale e sociale. Artisti di tutto il mondo e di fama venivano a Napoli a presentare i loro spettacoli, spesso in anteprima assoluta. Molte le nuove produzioni. Questo fermento aveva creato un indotto sociale di grande valore, come testimoniano i 500 posti di lavoro creati e i tanti spazi restituiti alla città e sottratti all'abbandono e alla decadenza. I numerosissimi visitatori innescavano un processo virtuoso a beneficio del turismo, del circuito degli hotel, della ristorazione... Grazie ai fondi dell'Unione europea e della Regione il festival si autofinanziava, non creava alcun buco. Tutto ciò, vale la pena ricordarlo, nella città dei rifiuti che intralciano il percorso dei bambini da casa a scuola...
Di fronte a tutto ciò, la nuova amministrazione regionale ha preteso l'azzeramento della fondazione che presiede al festival e ha provocato il licenziamento di 400 lavoratori, Quaglia compreso, appellandosi a un decreto che prevede l'annullamento di tutti i contratti a tempo non indeterminato in caso di sforamento del patto di stabilità. Poiché la fondazione non è un ente pubblico né una società partecipata, si è tentato il ricorso, purtroppo senza esito. Ma qual è la ragione di questo accanimento? La Fondazione era stata nominata dalla precedente amministrazione, di diverso colore politico: solo e unicamente questo, in barba agli eccellenti risultati, ai risvolti sociali, occupazionali, culturali...
L'effetto di questo brutale spoil system è che centinaia di persone hanno perso occupazione (spettacoli e festival si reggono su contratti a tempo determinato o a progetto, proprio quelli annullati) e che la città fa parlare di sé ancora una volta per un fatto grave e drammatico. Un'ulteriore beffa sta nel fatto che, avendo lavorato sino a qualche giorno fa, lo staff ha già un festival bell'e pronto. Si farà? I tempi tecnici lo consentirebbero, ma c'è la volontà di evitare un assurdo suicidio culturale e d'immagine, dopo aver servito la vendetta politica?
Paolo Perazzolo