26/11/2012
I libri scolastici in formato elettronico tra poco potranno essere realtà in Italia. (ThinkStock)
Il decreto “agenda digitale” (decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, “recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”) – attualmente in discussione alle Camere in vista della conversione in legge – ha stabilito per la scuola una serie di novità nella direzione dell’informatica e dell’elettronica. L’obiettivo è giusto, ma purtroppo non mancano i problemi.
Un cambiamento necessario
Si stabilisce, ad esempio, che dal prossimo anno scolastico nelle scuole superiori (alle elementari e alle medie dall’anno dopo) i libri di testo dovranno essere necessariamente in formato interamente digitale oppure misto (parte cartacea più estensioni on-line).
Che il futuro sia ineluttabilmente informatico non si discute. Ciò però genera più di una perplessità negli operatori del settore, insegnanti ed editori. Si vorrebbe evitare che il passaggio sia troppo brusco per studenti e famiglie. Si chiede quindi al governo di calibrare meglio i tempi e i modi di questa importante operazione.
La stessa
Commissione Istruzione e Cultura del Senato ha manifestato apertamente – citiamo da una proposta di emendamento – alcune “perplessità alla piema sostituzione del libro cartaceo con quello digitale ai fini dell’apprendimento […] anche al fine di non indebolire le capacità analitiche indispensabili per giungere a una sintesi critica”.
Le ragioni di perplessità
Ma sono anche altri, diciamo di taglio più pratico, i dubbi e gli interrogativi. Gli editori spiegano, ad esempio, che la pianificazione di un buon manuale scolastico richiede, a seconda delle discipline, dai 2 ai 3 anni di lavoro da parte degli autori e della redazione. Chiedono quindi di posticipare l’entrata in vigore della norma per le scuole secondarie almeno di un anno scolastico.
Gli esperti fanno poi notare che il risparmio per le famiglie è soltato teorico. Primo perché per utilizzare i libri digitali
bisogna acquistare specifici supporti informatici (computer portatile, tablet, e-reader ecc.). Secondo perché mentre l’Iva sui libri di carta è al 4%, quella sui volumi elettronici è al 21%. Il che si tradurrebbe in un vantaggio per l’erario, più che per i genitori degli studenti.
Troppa fretta?
Più in generale,
bisognerebbe riflettere come sia un po’ strana un’imposizione di questo tipo per legge in un contesto sociale, produttivo e di consumi come quello in cui viviamo.
La legge, cioè, stabilisce che a scuola bisognerebbe arrivare entro il prossimo anno, virtualmente, al 100% di libri elettronici, quando sul mercato di “varia” (cioè il mercato librario generalista, non scolastico: romanzi, saggi ecc.) la percentuale dei volumi elettronici acquistati attualmente è soltanto dell’1% e le previsioni per i prossimi anni parlano di una crescita ancora piuttosto lenta.
Ma c’è chi sta già oltre le novità prospettate dal legislatore. Ad esempio l’
Istituto Cobianchi di Verbania, liceo delle scienze umane e liceo linguistico, dove due classi terze hanno iniziato a settembre una sperimentazione “estrema”. Niente più libri di testo, neppure in formato elettronico, ma un tablet per ogni alunno, con materiali didattici prodotti insieme da docenti e studenti. Sarà interessante, tra tre anni (a esperimento concluso), valutare i risultati.
È in gioco un cambiamento non da poco: il passaggio da un modello didattico “trasmissivo” a un modello di tipo “esperienziale”.
In molti però esprimono la preoccupazione che l’eliminazione dei libri determini un problema di mancanza di punti di riferimento certi, stabili, autorevoli, in un ambiente virtuale, quello di Internet, in cui si trova tutto e il contrario di tutto.
Ciliegina sulla torta: secondo un’indagine dell’Esc Team,
il 53% dei giovani che acquista un tablet è potenzialmente a rischio di sviluppare una web-dipendenza. Chi va a spiegarlo ai genitori?
Roberto Carnero