Sostegno, servono nuovi insegnanti

In molte scuole italiane è allarme per i ritardi nell’assegnazione dei docenti di sostegno, che sono un diritto e non un lusso. La denuncia delle associazioni dei genitori.

04/10/2012

Un modello di inclusione

Le prime settimane di ogni anno scolastico sono un periodo delicato, perché dalle famiglie e dalle scuole arrivano agli uffici competenti le richieste per la speciale assistenza dovuta agli alunni disabili. Se ne occupano lo Stato, le Province e i Comuni, a seconda dell’ordine di scuola, attraverso l’attivazione della didattica di sostegno. In Italia sono circa 100 mila i docenti di sostegno, per 200 mila studenti. Quindi un insegnante per ogni due ragazzi con difficoltà.

Si tratta di un modello di inclusione, deciso per legge a partire dal 1977. Se prima si tendeva a organizzare classi differenziali, da allora si stabilì di integrare il più possibile i ragazzi con disabilità o deficit cognitivi nella vita dei loro coetanei. Perché la scuola, oltre che dispensatrice di cultura e di saperi, è e dev’essere anche un luogo di socializzazione e di formazione alla cittadinanza. Abituare i ragazzi alla convivenza tra le diversità è un obiettivo educativo non secondario.

I problemi attuali

Oggi tuttavia questo modello che, sulla carta, è uno dei migliori al mondo rischia di scontrarsi contro alcune difficoltà di funzionamento legate alla particolare congiuntura economica. L’innalzamento del numero di alunni per classe (deciso con la cosiddetta “riforma Glemini”) ha determinato una serie di problematiche facilmente intuibili: in una classe di 32 ragazzi (parliamo di quelle che con brutta espressione i giornali chiamano “classi pollaio”) è certamente più difficile inserire uno o due alunni portatori di handicap che non in una classe di 20.
Inoltre i tagli di bilancio per razionalizzare la spesa pubblica hanno reso più difficile attivare nuove cattedre di sostegno, quando, nell’ultimo decennio, ogni anno la presenza di alunni che avrebbero bisogno di un tutor personale è aumentata di circa il 4%.

Un diritto, non un lusso

Che fare, dunque? Innanzitutto, si può provare a cercare di trarre un bene dal male. Nel senso che tutti i docenti di un consiglio di classe dovrebbero capire che il sostegno è una cura pedagogica, una forma mentis, che non riguarda soltanto i colleghi specializzati e dedicati in via esclusiva a questa funzione.
Al contempo, però, bisogna che le istituzioni si facciano carico di ciò che compete loro. Questo è un capitolo di spesa su cui non si può risparmiare, perché è un fatto di civiltà. Il diritto all’istruzione è un diritto stabilito costituzionalmente. Un diritto che va garantito, ovviamente, anche agli alunni con problemi o difficoltà. E se per farlo servono altri insegnanti di sostegno, oltre a quelli già in cattedra, i soldi da qualche parte vanno trovati. E al più presto.

Roberto Carnero
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Postato da Maria Carla il 05/10/2012 18:06

Ho insegnato per alcuni anni nelle scuole speciali e nelle classi differenziali (anni '60 e '70). Poi la nostra legislazione, all'avanguardia, ha permesso a tutti di frequentare la scuola nelle classi. Successivamente , come Dirigente Scolastico, ho sempre cercato di facilitare l'inserimento e l'integrazione di bambini disabili con molte difficoltà, ma anche con molti esiti positivi. Ho sempre pensato che è importante che l'Insegnante di sostegno abbia una preparazione specifica, preparazione che però dovrebbero avere tutti gli Insegnanti, per poter affrontare con competenza la complessità quotidiana dell'insegnamento: del resto non diceva Maria Montessori che " se una metodologia di insegnamento aiuta un bambino in difficoltà, forse facilita l'apprendimento anche per un bambino senza particolari problemi?". Ed è proprio così. Oggi gli Insegnanti hanno bisogno di un supporto che li aiuti in primo luogo ad affrontare la società attuale: non si può far scuola oggi con la metodologia di ieri. Sicuramente le riduzioni del numero degli Insegnanti non facilitano, anzi complicano le situazioni difficili, anche perchè gli Insegnanti si sentono sempre più "numeri" e poco "persone". Condivido il commento che precede, e non solo per un modo di dire: davvero un bambino disabile è una risorsa: tutti devono concorrere a valorizzare questa risorsa con mezzi e soluzioni adeguati.

Postato da Monia il 05/10/2012 12:12

Gli Insegnanti di sostegno sono pochi e spesso purtroppo non sono all'altezza delle situazioni che devono affrontare. Spesso si assiste a un 'intrattenimento' del bambino disabile a scuola. Senza intravedere alcun impegno o obiettivo didattico. Ogni bambino, con qualsiasi disabilità ha sicuramente un potenziale su cui lavorare, si chiede quindi agli insegnanti di definire quale esso sia e svilupparlo con un progetto didattico chiaro e condiviso. Penso purtroppo anche che l'integrazione che si desidera ottenere, attraverso la creazioni di classi miste di bambini normodotati e disabili non si ottenga semplicemente prendendo il bambino disabile e buttandolo nella mischia. Gli insegnanti delle classi in cui viene inserito un bambino disabile devono essere formati, anche con una semplice full immersion di un giorno che introduca al tipo di disabilità che si avrà di fronte e che getti le basi per una integrazione che si costruisca sulla conoscenza e la condivisone delle problematiche e non sulla paura e sull'ignoranza che spesso si legge sul volto degli insegnanti impreparati ad interagire con ‘quella’ disabilità. Qualsiasi diversità di razza, di religione di disabilità affinchè venga accettata e integrata è necessario che la si conosca altrimenti genererà sempre atteggiamenti di intolleranza. Un bambino disabile in un classe può rappresentare una opportunità di crescita per la piccola comunità che lo accoglie ma spesso si riduce ad un disturbo, un fastidio.

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