27/01/2012
Pierangelo Dacrema (Imago economica).
“Resisto a tutto tranne che alle tentazioni”, diceva Oscar Wilde. L’ultimo, atipico, saggio di Pierangelo Dacrema, economista di vaglia, (insegna Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria), studioso appassionato di Keynes (di cui è traduttore per Adelphi) riflette un po’ questo aforisma nel suo titolo provocatorio: “Fumo, bevo e mangio molta carne (edizioni Excelsior). Un trattatello “immorale” sulle ipocrisie morali (o sulla moralità ipocrita?) della nostra società.
Dacrema difende il vizio che ha acquisito da bambino: quello del fumo. Viaggiando spesso in America, la patria del salusticamente corretto, si è venuto spesso a scontrare con il fondamentalismo tabagista che spesso e volentieri lo ha costretto a un ostracismo postmoderno, tenendolo fuori da simposi, cene e conferenze in nome del fumo passivo. In compenso la società occidentale (non solo quella statunitense, ovviamente) consente in nome della libertà ogni tipo di incitazione alla violenza (si prenda il cinema, ad esempio) e ogni tipo di insulsaggine. “In Tv non si fuma e non si beve. In compenso dilaga l’insulsaggine, una sarabanda di femmine discinte suscita un più che legittimo entusiasmo, un certo tipo di turpiloquio è benvenuto e ritenuto benefico per l’audience”. Già. In Tv possono scoppiare le risse, le mistificazioni, si può scavare nell’intimità di una persona, nel suo dolore, si può insultare senza ritegno. Ma non si deve bere e fumare.
La parte più poetica del libro è certamente quello dedicato all’alcol. Quasi una dichiarazione d’amore, da parte di questo moralista-edonista, bevitore “di lungo corso”. “Nonostante tutta l’aria di degrado che si respira intorno al fenomeno dell’assunzione stabile e abbondante di bevande alcoliche, dichiaro in modo ufficiale e spudorato che bere è molto piacevole. Sì, bere è bello. Ed è proprio con l’unico conforto di questa banalissima ma fermissima opinione”. La libertà di bere per Dacrema ancora una volta si ferma di fronte alla libertà altrui e naturalmente alla sicurezza. Poiché il bere non deve diventare “brutalità, violenza sfrenata di cui fanno les pese familiarie conviventi, e sulel strade tragedia, innocenti travolti e dilaniati tra le lamiere”. Quella di Dacrema è più una dichiarazione d’amore per quell’ebbrezza dionisiaca tanto celebrata da Orazio.
Ma è nei confronti dei vegetariani che la penna acuminata di Dacrema affonda nella carne. L’autore è membro del comitato etico-scientifico dell’Associazione italiana allevatori, smonta l’ipocrisia di quella concezione per cui chi mangia carne compie un non so che di delittuoso. Prende di mira gli animalistie con competenza scientifica smolta alcune concezioni e mistificazioni, come quella sui danni alla Terra dell’allevamento industriale (c’è anche un a lettera aperta allo scrittore vegetariano J.Safran Foer). Analizza, approfondisce con i suoi mezzi di economista falsi miti, l’integralismo di certi divieti.
Il limite della concezione filosofico-esistenziale di Dacrema è (non sappiamo quanto consapevolmente) è la sua concezione liberista: “Io sono libero di fare quel che mi pare, di coltivare i miei amatissimi vizi, che poi sono passioni, nei limiti del rispetto della libertà e dell’integrità altrui)”. Porre un limite alla propria libertà è già qualcosa, ma non basta. Per un cristiano è una concezione non accettabile. Chi fuma dovrebbe semplicemente smetter, e basta. Inannzitutto perché nessun uomo è un’isola, e soprattutto perché ogni libertà deve essere finalizzata al bene. Diceva Blondel: un’azione buona solleva il mondo, una cattiva lo fa cadere. Ma soprattutto perché ciascuno di noi non è assolutamente libero di farsi del male, come ad esempio con il fumo. Nessuno può fare di sé stesso ciò che vuole. La libertà è sempre per il bene e il rispetto, la salvezza dell’altro è anche per sé stessi.
Francesco Anfossi