15/09/2012
Il presidente Obama e Hillary Clinton durante la cerimonia di rimpatrio della salma dell'ambasciatore Chris Stevens ucciso a Bengasi.
Ci voleva la Libia, per spostare i riflettori della
campagna elettorale, finora puntati insistentemente sull'economia e sulla
disoccupazione. Fino ad oggi la politica estera era considerata dallo staff di
Barack Obama il terreno ideale per sfidare Romney, e probabilmente lo è ancora,
ma l'ondata di violenza nel mondo arabo ha appannato la portata dei successi
del presidente nel resto del mondo.
E soprattutto, la notizia che l'intelligence aveva
avvertito delle possibili tensioni relative al video denigratorio dell'Islam
potrebbe esporre la Casa Bianca a nuove critiche da parte dei repubblicani.
Una rondine non fa primavera e non può bastare un attentato
- peraltro condannato poi dal resto dei cittadini libici- a far tramontare la Primavera Araba, ma
sicuramente quattordici vittime, di cui quattro americane, rendono più
difficile sperare nel "nuovo inizio" dei rapporti tra gli Stati Uniti
e il mondo islamico invocato proprio da Obama tre anni fa nel suo discorso al
Cairo.
Nei giorni scorsi, nei comizi e nelle interviste
televisive Mitt Romney ha accusato il presidente di dare un'immagine debole
dell'America, aggiungendo che il Paese è "in balìa degli eventi"
- considerazioni da cui persino alcuni repubblicani hanno presto le distanze - ma
quando gli è stato chiesto esattamente come affronterebbe la situazione in
Libia e in Egitto si è mantenuto sul vago. Sul New York Times di ieri
però i suoi consiglieri hanno offerto un quadro di come sarebbe la politica
estera se alla Casa Bianca ci fosse lui: "Romney direbbe chiaramente
all'Egitto che per ottenere l'azzeramento di quel debito da un miliardo di
dollari promesso da Hillary Clinton dovrebbero fare di più per proteggere le
ambasciate americane".
Se da un lato l'attuale crisi indebolisce l'immagine di
Obama come grande mediatore -i Paesi
dove sono iniziate le violenze sono fra quelli che Washington ha aiutato nel
rovesciare i regimi dittatoriali - dall'altro gli offre l'occasione per dare un
esempio di leadership, esattamente quello che l'America cerca quando si sente
sotto attacco.
"Anche nel nostro dolore saremo sempre risoluti,
perché siamo americani" ha detto ieri sera Obama alla cerimonia funebre per
il ritorno in patria delle salme delle vittime di quello che qualcuno chiama
già il nuovo undici settembre. "Gli Stati Uniti non si ritireranno mai dal
mondo, non smetteremo mai di lavorare per la dignità e la libertà che merita
ogni individuo, indipendentemente dalla loro fede, perché questa è l'essenza
della leadership americana".
Al di là delle polemiche politiche, l'America si sta
anche interrogando su un aspetto altrettanto essenziale: la libertà di
espressione.
Youtube ha deciso autonomamente di bloccare l'accesso al
video "The innocence of Islam" in Egitto e Libia, senza alcuna
richiesta da parte di Washington, né tanto meno dai governi dei due paesi
nordafricani.
negli Stati Uniti, per quanto denigratorio o offensivo,
il video sarebbe comunque protetto dal primo emendamento, e l'azienda stessa ha
dichiarato che non c'è alcuna violazione dei suoi termini d'uso, il che vuol
dire che Google (proprietario di Youtube) ha deciso da sola cosa è meglio per
milioni di utenti in due paesi stranieri. Una scelta che in futuro potrebbe
esporre l'azienda a pressioni di altri governi: se il Pakistan o la Cina
chiedessero di eliminare un video "scomodo", Google non potrebbe più
rispondere di no solo perché non viola il suo regolamento.
Claudia Andreozzi