22/01/2012
Mario Monti e Benedetto XVI in Vaticano (foto Ansa).
“Che tempo fa in Germania?”, aveva chiesto il Papa al premir italiano. “A Berlino il tempo era brutto, ma il clima era buono”, ha risposto il presidente del Consiglio Monti, in visita in Vaticano con la consorte, la signora Elsa. “Vedo laggiù alcuni miei conterranei particolarmente agitati”, ha commentato dai banchi del governo mentre infuriava in Parlamento la gazzarra leghista. “Bisognerebbe affiancare alla lettura di alcuni giornali almeno un altro quotidiano”, ha glissato quando una giornalista gli ha fatto notare le critiche non propriamente affettuose del quotidiano della famiglia Berlusconi. E ancora, rivolto agli insulti freschi freschi di Bossi in piazza del Duomo: “Da lombardo mi sono interessato ai primi provvedimenti della Lega, quando è nata. Molti dei nostri provvedimenti corrispondono alle istanze originarie di quel movimento, come quella di dare impulso alle piccole imprese, alle liberalizzazioni, a una maggiore concorrenza”.
Gli italiani hanno cominciato ad abituarsi all’humour del premier Monti. Un humour garbato, discreto, molto acuto, di marca anglosassone. Così diverso da quello greve, da barzelletta, del suo predecessore. E insieme con la sua ironia lieve (ma capace di essere tagliente), stanno sperimentando anche un modo nuovo di far politica. Nuovo, o almeno dimenticato da anni, quasi scomparsi in un ventennio di politica spettacolo dove l’apparenza spesso contava più della sostanza, dove il teatrino era la regola, e dove le vere decisioni venivano prese spesso e volentieri fuori dai luoghi del Parlamento, nelle segrete stanze del potere.
Se c’è un merito, al di là dei contenuti dei suoi provvedimenti, nel nuovo corso politico avviato dal presidente della Repubblica Napolitano e dal presidente del Consiglio Monti è quello di aver restituito alle istituzioni, a cominciare dal Parlamento, il loro ruolo di luogo privilegiato dove deve avvenire l’esercizio della cosa pubblica, restituendo a tali luoghi dignità e concretezza. Anche nell’esposizione di fronte alle telecamere il premier dimostra un’apprezzabile sobrietà, così diversa dai ministri del precedente governo, abituati a sedersi in tutti i possibili salotti televisivi a discettare su tutto e su nulla. Uno stile nuovo, fatto per ragionare, persino di fronte alla tv. La cosa curiosa è che i format, i conduttori, il pubblico, la scenografia dei programmi in cui si sono tenute gazzarre di ogni genere sono sempre gli stessi. Ma è bastata la presenza di un nuovo ospite per improntare a un nuovo stile il modo di fare televisione e informazione. È un piccolo, importante passo in avanti poter dimostrare che è possibile comunicare ai propri cittadini anche le decisioni più difficili. Riuscire a farsi capire, e senza alzare il dito, o la voce. Questo nuovo stile di per sé dovrebbe essere la normalità, come avviene in Francia, in Germania, nel Regno Unito e in altri Paesi d’Europa, purtroppo così non è stato.
Come ha scritto Sergio Romano sul Corriere della sera “Monti ha dato a tutti una lezione di stile politico a cui eravamo disabituati. Ha ascoltato i suoi interlocutori. Ha risposto e argomentato con pacatezza e senso dell’umorismo. Ha cercato di tenere conto delle richieste che avrebbero reso la manovra più equa, ma non ha permesso che l’impianto dell’operazione venisse tradito e snaturato. Ha spiegato perché certe misure richiedano uno studio accurato dei loro effetti e non possano venire adottate sull'onda della rabbia o dell'indignazione”.
Tante volte è stato sottolineato lo stile “sobrio” della compagine dei ministri e del suo presidente, certo condizione non sufficiente a superare i problemi in cui si dibatte il Paese, ma certamente un buon punto di partenza per affrontarli. Soprattutto, a fronte di tanti sacrifici richiesti, per rendere il governo credibile di fronte a una società, quella italiana, che ha poco o punto fiducia nella classe politica.
Francesco Anfossi