10/08/2012
Una postazione dell'esercito egiziano presso Rafah, al confine con la Striscia di Gaza (foto del servizio: Reuters).
I droni di Israele uccidono a Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, Eid
Hijazi, membro dei Comitati di resistenza popolare; i compagni di
Hijazi, per vendicarlo, penetrano nel Sinai e attaccano un posto di frontiera
in territorio egiziano, uccidendo 16 guardie; poi tentano di penetrare
in territorio israeliano, ma vengono subito intercettati e decimati
dall’esercito dello Stato ebraico. Questa, in sintesi, l’ultima crisi
del Sinai.
Sarebbe meglio dire: la crisi più recente. Negli ultimi anni,
infatti, nella Penisola un tempo contesa (fu conquistata da Israele
durante la guerra dei Sei Giorni del 1967, restituita quasi
totalmente all’Egitto dopo gli accordi di Camp David nel 1979 e
totalmente nel 1982) si sono infiltrati predoni, trafficanti di armi,
militanti dei gruppi estremisti palestinesi, miliziani di Al Qaeda e
salafiti che hanno sfruttato l’inquietudine delle locali tribù beduine e
il tradizionale stato di arretratezza del territorio per costruirsi una
sorta di base sicura. Una situazione resa ancora più complicata
dall’apertura del confine tra Egitto e Striscia di Gaza, appunto a
Rafah, decisa dai militari saliti al potere subito dopo la caduta di Mubarak: un provvedimento che ha
alleviato le penose condizioni di vita degli abitanti della Striscia ma
anche favorito ogni sorta di losco traffico.
I funerali di uno dei 16 soldati egiziani uccisi dagli estremisti islamici nel Sinai.
Il Governo egiziano ha tentato di porre qualche rimedio varando una
Authority per lo sviluppo economico del Sinai e offrendo ai beduini
condizioni agevolate per l’acquisto della terra. La Penisola, peraltro, è
di cruciale interesse strategico anche per Israele: per la
sicurezza del territorio, come abbiamo appena detto, ma anche per i
rifornimenti energetici. Nel Nord del Sinai corre infatti l’Arab Gas Pipeline, il gasdotto che rifornisce Giordania, Siria e Israele (il quale da esso dipende per il 40% del proprio fabbisogno).
Non a caso, e proprio per queste ragioni, è successo nel 2010 un
fatto piuttosto straordinario: Israele ha chiesto all’Egitto di schierare più truppe, per la precisione 1.400 soldati in
più, proprio nella Penisola. Siamo onesti: Israele non rischia
nulla, la sua aviazione ha un controllo totale dello spazio aereo e in
ogni caso i 200 chilometri di deserto renderebbero in pratica
impossibile qualunque azione via terra delle forze corazzate egiziane.
Ma il precedente in ogni caso colpisce.
Il vero problema, per paradosso, sta però nel Trattato di pace firmato da Israele ed Egitto nel 1979. Il Trattato ha un annesso che regola le mosse militari dei due Paesi un tempo nemici. Diviso il Sinai in quattro zone (A, B, C, e D),
fu stabilito che nella zona A (la più vicina all’Egitto continentale)
potevano essere dispiegati non più di 22 mila soldati egiziani; che
nella zona B (quella centrale) l’Egitto poteva schierare fino a un
massimo di 4 mila soldati; che nella zona C (confine con Israele)
potevano essere schierati solo soldati Onu e poliziotti egiziani; e che
nella zona D (territorio di Israele) avrebbero potuto essere schierati 4
mila soldati israeliani.
Il conto è presto fatto. Per controllare il Sinai, vasto 61
mila chilometri quadrati, pari a 3 volte Israele oppure a un quinto
dell’Italia, l’Egitto può disporre di meno di 30 mila uomini
(quelli previsti dall’annesso del Trattato più le integrazioni del
2010), in larghissima parte peraltro dispiegati lontano dal confine
cruciale con Israele. Un’impresa impossibile, considerata tra l’altro la
storica ostilità delle tribù locali nei confronti del governo centrale
egiziano.
E’ un’altra delle conseguenze, fino a poco tempo fa
imprevedibili, del mutamento degli equilibrii politici e strategici in
Medio Oriente. E tra le novità da scoprire va messo anche
l’atteggiamento del nuovo presidente egiziano Morsi: esponente
dei Fratelli Musulmani, da sempre schierati con l’ala più oltranzista
del nazionalismo palestinese, Morsi ha decretato la chiusura del confine
di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza e la distruzione dei tunnel che
collegano la Striscia all’Egitto. Per dirla con le parole della nostra
politica: neppure il Governo provvisorio dei militari, abbondantemente
finanziati dagli Usa, era andato così a “destra”.
Fulvio Scaglione