09/08/2012
Una donna con la figlia in una via di Aleppo colpita dai bombardamenti (foto Reuters).
«La Siria sta vivendo la crisi più drammatica
della sua storia. La scelta
della soluzione militare ha portato
alla diffusione della violenza, alla perdita di
troppe vite umane e a distruzioni generalizzate», si legge in un documento firmato a Roma,
a Sant’Egidio, il 27 luglio, da esponenti
qualificati dell’opposizione e della società civile.
È un accorato appello contro la violenza
che dilania il Paese, come si è visto con i recenti
bombardamenti di Aleppo.
I firmatari non sono neutrali, ma accusano
il regime degli Assad di aver brutalmente
schiacciato la società siriana con dure e sanguinose
repressioni. Affermano che il popolo
siriano, già prigioniero del regime, è divenuto
ostaggio della violenza: «Pur riconoscendo
il diritto dei cittadini alla legittima difesa
», insistono i firmatari dell’appello di Roma,
«ribadiamo che le armi non sono la soluzione.
Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento
verso la guerra civile».
La violenza sta seminando odi che lacerano
la società siriana. La Siria è una terra dove
convivono da secoli varie minoranze religiose
(cristiane e musulmane) con la maggioranza
musulmana sunnita. Il regime di
Assad ha il suo fulcro nella minoranza musulmana
alauita. C’è pure un’importante comunità
curda. La dittatura dava l’illusione di
preservare un equilibrio. Ora il mosaico religioso
ed etnico rischia di essere infranto per
sempre dalla guerra civile.
L’appello di Roma è una voce drammatica
cui hanno fatto eco autorevoli vescovi siriani
e alcune iniziative.
La regione di Qalamoun,
in cui abitano soprattutto musulmani sunniti
(ma ci sono pure importanti villaggi cristiani),
ha dichiarato di voler bandire la violenza,
operando una riconciliazione tra combattenti.
La società siriana vuole la pace e la democrazia,
ma è ostaggio della violenza.
Ci vuole un’uscita politica. Un ventilato intervento
militare dall’estero (non giudicato
praticabile da molti Paesi) infatti rischierebbe
di riprodurre scenari simili alla guerra in
Irak. Tutte le minoranze lo temono. È noto
come in Irak i cristiani si siano dimezzati,
mentre tutti vivono nell’insicurezza.
La rinuncia di Kofi Annan, l’inviato
dell’Onu che aveva condotto estenuanti mediazioni,
mostra la drammaticità della situazione.
Annan ha denunciato le divisioni interne
al Consiglio di sicurezza, che paralizzano
la comunità internazionale.
I russi non
vogliono che il regime sia capovolto. La comunità
internazionale, in balìa di veti incrociati,
rischia di restare spettatrice o di limitarsi
a dichiarazioni e aiuti ai rifugiati. Ma ogni
giorno che passa, in Siria, la gente muore e
tanti fuggono all’estero. La guerra civile non
porterà mai la pace e forse finirà con la tragica
divisione del Paese. Occorre una forte iniziativa
internazionale che faccia emergere la
parte migliore del Paese e dia a tutti (specie
alle minoranze) garanzie per il futuro.
Andrea Riccardi