Non è difficile capire perché questo accade. La Siria di Assad, così com'è, fa comodo a molti. A Israele, che ha sempre avuto in Assad un nemico impotente e incapace di nuocere, ma pur sempre un nemico da vantare nel palmarés. Alla Giordania, che teme il contagio della protesta. Agli Usa, che hanno ben altre gatte da pelare. Alla Russia, che nell'attuale regime ha un alleato. Per quel che conta anche al Libano, dove Hezbollah non può dimenticare gli storici rapporti (e complicità) con i "servizi" di Assad e dove comunque l'equilibrio etnico e religioso è fragile.
Per non parlare dell'Arabia Saudita, (che ha stroncato con le armi le proteste in casa propria e in Bahrein), dell'Iraq (anche lì, equilibrii di cristallo) e dell'Iran, dove la contestazione cova sempre sotto la cenere. Inoltre, la Siria non dispone di risorse energetiche né di particolari ricchezze naturali. Che sono invece la causa principale di tutte le ultime guerre: nei Balcani, dove la fine di Milosevic ha spalancato la strada ai gasdotti in arrivo dall'Asia Centrale, in Iraq e in Libia. Se ci fosse un po' di petrolio da spartirsi, Assad sarebbe già uscito di scena.
A dispetto di tutto questo, però, lasciare un tale margine di manovra agli stragisti siriani è un grosso errore. E non solo per le evidenti ragioni umanitarie e di principio. Assad è esponente della minoranza alawita e la protesta è generata soprattutto dagli ambienti della maggioranza sunnita, che stanno particolarmente a cuore alla vicina Turchia. La quale viene di giorno in giorno trascinata nel gorgo siriano anche da un altro fattore: l'appoggio che la Siria da molto tempo offre all'ala militare e terroristica del movimento indipendentista curdo, in cui la fazione filo-siriana è dominante.
Gli effetti si sono visti qualche settimana fa. I curdi filo-siriani attaccano e fanno un massacro di soldati turchi. La Turchia reagisce (e ancora reagirà, questo è certo) anche sconfinando in Iraq. Nel frattempo il Mit (servizi segreti turchi) aumenta la collaborazione con i gruppi organizzati degli insorti siriani.
Vale la pena ricordare che la Turchia è nella Nato, ha il secondo esercito dell'alleanza (oltre un milione di uomini) dopo quello Usa, una posizione strategica fondamentale e un'economia in forte crescita da anni. Il premier Erdogan, inoltre, è oggi l'unico leader politico del Medio Oriente a godere di una vasta e solida credibilità nel mondo islamico. Irritare lui per salvare Assad pare un pessimo scambio.