22/07/2010
Abbiamo ancora nella mente le immagini, dell’estate scorsa, dei corpi senza vita di quelle due bambine di etnia rom annegate durante un bagno in mare, a Napoli, mentre intorno a loro la vita continuava a scorrere normalmente… Pochi giorni fa, in provincia di Imperia, nel primo pomeriggio di una normale giornata calda di luglio, stavo riposando sotto l’ombrellone. Un rumore di giochi nell’acqua mi ha riportato alla realtà: due ragazzi nordafricani, intorno ai vent’anni, si stavano divertendo in mare. Ammetto di non aver capito subito quello che stava accadendo. Solo quando mio nipote mi ha detto che, secondo lui, uno dei due ragazzi stava per affogare mi sono alzato. E solo quando uno di loro ha cominciato a chiedere aiuto, ho capito che effettivamente mio nipote aveva ragione. Non sono un perfetto nuotatore, ma l’istinto di buttarmi verso quella persona in pericolo mi è venuto immediatamente. Il bagnino non si è visto, anzi si è visto dopo che ho riportato a riva il ragazzo.
La cosa che mi ha fatto pensare, che mi ha fatto stare male, è ancora davanti ai miei occhi. Mentre trascinavo a riva quel giovane tunisino, vedevo le altre persone sulla spiaggia comodamente sedute al loro posto. Chi sotto l’ombrellone, chi sulla sdraio, chi disteso sull’asciugamano. Nessuno si è alzato per prestare soccorso. Nessuno si è avvicinato a quel ragazzo per chiedergli come stava. Il tutto si è svolto nell’indifferenza generale… Perché le cose sono importanti solo quando ci toccano in prima persona? Perché non siamo disposti ad aiutare il prossimo? Io spero soltanto di essere capitato in una spiaggia che è l’eccezione. Voglio immaginare che in tutte le altre spiagge non ci sia solo un individuo disposto a prestare aiuto. Immagino, cinque, dieci, venti esseri umani disposti ad aiutare un'unica persona.
Fabiano Albani