09/09/2012
Un bambino afghano sullo sfondo di un poster dedicato ad Ahmad Shah Massud (Reuters).
Non è detto che il ragazzo di
14 anni che a Kabul, nei pressi del quartiere generale della forza
internazionale Isaf, ha fatto strage di ambulanti giovani come lui o quasi, si
sia fatto esplodere. Potrebbero anche averlo fatto esplodere i suoi mandanti, con
un congegno a distanza, per scegliere il luogo più adatto, mentre lui pedalava
ignaro sulla bicicletta imbottita d’esplosivo.
Nel primo caso, il piccolo
kamikaze sarebbe la vittima di un indottrinamento spietato e assassino. Nel
secondo, sarebbe il primo dei caduti nella strage organizzata dal gruppo Haqqani
della galassia talibana, che sta colpendo per rimarcare, a suo modo,
l’anniversario dell’uccisione di Ahmad Shah Massud, il capo della guerriglia
contro i sovietici e poi contro i talebani, morto in un attentato il 9
settembre 2001, pochi giorni prima dell’invasione internazionale
dell’Afghanistan.
Comunque sia andata a Kabul,
quei morti sono gli ultimi caduti della grande strage dei ragazzi a cui stiamo
assistendo impotenti. Secondo dati non verificabili ma credibili, diffusi dalla
tv satellitare Al Arabiya, sono ormai più di 1.300 i minori uccisi nella guerra
civile in Siria e le organizzazioni umanitarie non hanno più remore nel parlare di “eccidio”. Dall’Afghanistan le
truppe straniere, il vero collante del Paese nell’ultimo decennio, si stanno
velocemente ritirando: 70 mila soldati americani e 40 mila soldati di altri
Paesi in meno rispetto ai livelli massimi d’impegno militare. In Siria non sono
mai arrivate e chissà se mai ci arriveranno.
Il
tasso di natalità dei Paesi del Medio Oriente è in media inferiore solo a
quello dei Paesi dell’Africa: 33 nati ogni 1.000 persone nello Yemen, 29 in
Iraq, 27 in Giordania, 25 in Egitto, 24 in Oman, Libia e Siria. E 38 nell’Afghanistan
dei bambini kamikaze. Le famiglie, quindi, sono numerose e, in più, tendono a
rimanere compatte. Se una bomba cade su una casa, come ad Aleppo oppure a Homs,
è probabile che i primi a morire siano i bambini. Se una mitragliatrice spazza
una strada, sono i bambini, che in Medio Oriente spesso trovano nella strada il
prolungamento della casa, i primi a essere colpiti. La stessa cosa in
Afghanistan.
Ma è una tragedia a cui ci stiamo abituando con troppa
facilità. Anzi. Se proviamo a chiedere alle organizzazioni
umanitarie quale sia la più comune reazione alle raccolte fondi lanciate per
dare una mano ai siriani e ai bambini che cadono sotto le bombe, scopriamo che
il risultato spesso è indifferenza quando non vero rifiuto. Le casse per le
missioni d’aiuto restano vuote o quasi. Cosa che non succede, invece, quando
l’emergenza riguarda l’Africa. Come se patire la carestia in Somalia a causa
degli shaabab e del loro folle islamismo fosse più drammatico, o onorevole, che morire in un
bombardamento ordinato da un dittatore a fine corsa come Assad, ormai simile ai
Saddam Hussein e Muammar Gheddafi di qualche tempo fa.
Fulvio Scaglione