26/02/2012
Una protesta a favore dell'indipendenza del Tibet a Kathmandu (Nepal). Le foto del servizio: Reuters.
Il Capodanno tibetano è normalmente un periodo di festose celebrazioni, fatto di riunioni famigliari, canti, processioni, e sfilate di carri e maschere. Ma quest'anno, i 15 giorni di festività per il Losar (Nuovo Anno), iniziati ieri, saranno segnati dal lutto e dal silenzio, unica possibilità di dissenso concessa ai tibetani dall'occupazione militare cinese.
Venerdì scorso, infatti, l'ennesimo monaco si è dato fuoco davanti alle porte del monastero di Qinghai. Negli ultimi 12 mesi sono almeno una ventina (16 per i cinesi, 25 per i tibetani) i religiosi che si sono auto-immolati per protestare contro l'occupazione cinese del Tibet. Pechino li definisce terroristi, e li accusa di essere al soldo del loro capo spirituale che, alleato con “potenze nemiche straniere”, cercherebbe di destabilizzare la sovranità cinese sull'area.
Dal suo esilio indiano di Dharamsala, il Dalai Lama ha invitato i suoi fedeli, sia in patria che all'estero, a dimenticare i festeggiamenti per quest'anno, e a dedicarsi piuttosto alla preghiera. Lasha, del resto, è una citta' sotto assedio: nessuno puo' entrare ne' uscire dalla capitale senza il permesso delle autorità cinesi, che hanno disseminato la citta' di posti di blocco.
Secondo osservatori locali l'intera regione è stata sottoposta a misure di sicurezza senza precedenti. Ma la vera paura di Pechino riguarda in realtà un altro anniversario, che seguirà di pochi giorni la fine del Capodanno tibetano: si tratta della rivolta del 14 marzo 2008, quando migliaia di religiosi e civili si riversarono nelle strade della capitale e delle principali città per protestare contro il regime. Solo a Lhasa ci furono 22 vittime, tutte tibetane.
Le eccezionali misure di controllo adottate in questi giorni mostrano anche la debolezza di Pechino che, dopo oltre 50 anni di occupazione, e nonostante il ricorso a mezzi decisamente spregiudicati, non è ancora riuscita a vincere la dissidenza locale, oltre a guadagnarsi la più o meno marcata disapprovazione internazionale. Infatti, l'inizio del Losar è stato salutato in molte parti del mondo da varie forme di protesta, che vanno dallo sciopero della fame ai cortei davanti alle ambasciate cinesi, e che hanno visto come protagonisti non solo religiosi e civili tibetani in esilio, ma anche molti loro sostenitori locali.
Marta Franceschini