13/02/2013
Il sociologo Khaled Fouad Allam (Contrasto). Nella foto di copertina: giovani tunisine in protesta dopo l'omicidio di Chokri Belaid (Reuters).
A poco più di due anni dalla rivoluzione dei gelsomini, la Tunisia si ritrova nel pieno di una seconda rivolta. L’omicidio di Chokri Belaid, brillante avvocato e leader dell’opposizione laica all’Esecutivo islamico (dominato dal partito confessionale Ennahda), ha sollevato un’ondata di rabbia nel Paese che chiede il cambiamento, portando a una lacerante crisi di Governo. Una lettura molto originale e interessante delle rivolte in Tunisia e della Primavera araba la offre il sociologo e giornalista algerino Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all'Università di Trieste, nel suo ultimo saggio Avere vent’anni a Tunisi e al Cairo (Marsilio).
L’Occidente è stato veloce nel definire le rivolte come Primavera araba e con la stessa velocità ha poi parlato di Inverno arabo...
«La cultura europea ha riflettuto sulle rivolte arabe sulla base della "notizia", degli eventi di stretta attualità. Ma questo è un limite. I fenomeni rivoluzionari vanno letti assolutamente sulla lunga durata, che permette una distanza critica. Gli eventi sono complessi. In Occidente siamo troppo propensi alle facili classificazioni: dobbiamo tornare ai concetti di base. Credo che stia tornando una sorta di analfabetismo in relazione alla lettura del mondo che ci circonda».
Nel suo saggio lei fa un originale confronto tra le rivolte arabe e il Sessantotto in Occidente.
«La comparazione aiuta a mettere a fuoco come due culture affrontano oppure occultano gli stessi problemi. La contestazione del ’68 gravitava intorno alla critica della famiglia - come premessa alla critica delle istituzioni politiche - e alla questione femminile, intesa non solo come liberazione sessuale ma come problema di uguaglianza fra uomini e donne, che è uno dei principi alla base della democrazia. Nel mondo islamico né il conflitto intergenerazionale né la contestazione femminile hanno avuto luogo. Nel Bahrein, ad esempio, uomini e donne hanno protestato per le strade ma separati, in due manifestazioni distinte, con le donne tutte velate. Se fosse stata una rivoluzione sociale e culturale avremmo visto le donne togliersi il velo nelle piazze. Quella femminile è una questione centrale per il mondo islamico di oggi. In Tunisia, ad esempio, c’è una società civile che esprime con forza una rivendicazione paritaria fra uomo e donna, come dimostrato dalle forti contestazioni alla proposta di Costituzione che afferma che la donna non è uguale ma complementare all'uomo. Insisto: la questione femminile è la matrice di tutte le altre questioni alla base della democrazia».
La copertina dell'ultimo saggio del sociologo algerino Khaled Fouad Allam.
Il progetto euro-mediterraneo, come cooperazione fra le sponde Nord e Sud del Mare nostrum, è fallito?
«Su questo sono molto pessimista. L'Europa è già di per sé in una profonda crisi di identità: se non sa cosa vuole essere per se stessa, come fa ad aiutare gli altri? Nel mondo arabo ci sono nuovi soggetti che stanno
prendendo il posto dell’Europa: la Turchia, la Russia, la Cina e i Paesi
del Sudest asiatico. E l’Europa resta timidamente a guardare. Se si
chiede a un ventenne del Cairo cos'è per lui l'Europa, lui
risponderà: niente. Purtroppo mi aspettavo un
atteggiamento differente dai Paesi europei».
Come vede la situazione della Tunisia?
«La Tunisia è un caso a sé: ha una società civile molto forte con una
lunga storia di sindacalismo, una classe intellettuale, arabofona e
francofona, molto all’avanguardia. Inoltre, per il suo status di
protettorato, ha avuto sempre un rapporto particolare con l'Occidente. Ma il pericolo di questo secolo è la tendenza diffusa alle radicalizzazioni: ogni rivoluzione produce anche il suo proprio pericolo. Se la
Tunisia eviterà la guerra civile potrà diventare un modello per il mondo
arabo».
Al Parlamento europeo di Strasburgo il presidente tunisino Marzouki
ha detto di essere sorpreso della mancanza di pazienza da parte
dell'Europa nei confronti delle rivoluzioni arabe e dei loro sviluppi.
Cosa ne pensa?
«Il problema è che l'élite politica dirigente europea nel suo insieme
oggi è carente di spessore intellettuale, proviene dalla tecnocrazia o dai partiti politici, vive il tempo dei cicli elettorali, un tempo tecnico, non storico. Ma la tecnica non è pensiero, e la politica ha bisogno di pensiero. Di fronte alla densità e complessità dei problemi oggi ci sarebbe bisogno di politici del calibro, ad esempio, di Alcide De Gasperi, di Willy Brandt, persone che avevano lungimiranza e che per me sono stati dei punti di riferimento. Oggi, purtroppo, i politici sono mediocri. Abbiamo assistito a un divorzio tra politica e cultura».
Giulia Cerqueti